Anche oggi l'Italia, dopo gli anni della crisi economica, resta protagonista del settore manifatturiero in Europa. Ma mantenere l'esistente non basta più: per ripartire bisogna certamente fare di meglio. Con l'insediamento del nuovo governo il Paese ha bisogno di nuove politiche industriali, per non perdere ulteriore terreno e trovare la formula giusta per rilanciare lo sviluppo. Ne abbiamo parlato con Annamaria Simonazzi, docente di Economia e diritto all'Università La Sapienza di Roma.

Rassegna Pochi giorni fa l'esecutivo ha ottenuto la fiducia e iniziato il suo percorso. Quali sono le politiche industriali che deve mettere in campo?

Simonazzi Prima di tutto, una politica industriale ha successo solo se inserita in un contesto macroeconomico di crescita: non si può sperare in un esito positivo se restiamo in una situazione di bassa domanda, deflazione e recessione. La qualità della domanda diventa allora fondamentale. Se vogliamo qualificare l'offerta, alla domanda bisogna riservare un'uguale attenzione: non esistono politiche disgiunte. La composizione e la qualità della domanda è quindi imprescindibile per arrivare a una seria riqualificazione del Paese. Non basta operare un trasferimento di reddito: il sostegno al reddito può essere una misura importante contro la povertà, ma non costituisce un volano per la ripresa.

Rassegna Nel quadro da lei descritto si inserisce il nodo del sostegno alle imprese. Come bisogna intervenire?

Simonazzi Una vera politica industriale non può avere come obiettivo l’aumento della competitività delle aziende. Le misure di sussidio non coordinate non funzionano: sono costose e inefficaci, in più occasioni hanno già mostrato la corda. Prendiamo il sostegno agli investimenti: non sono serviti per stimolarli, molti studi dimostrano che le imprese hanno solo confermato quelli che avrebbero fatto ugualmente. Inoltre se tutti i Paesi applicano i sussidi questi si neutralizzano l'uno con l'altro: resta solo una corsa a ribasso. In altre parole, se ogni Stato europeo inizia a sussidiare il costo del lavoro e prevedere incentivi alle aziende avremo sempre un gioco a somma zero.

Rassegna Dalle sue riflessioni sembra emergere una necessità: ragionare in termini macroeconomici, uscendo dalla dimensione locale.

Simonazzi Esatto. I sussidi sono inefficaci soprattutto perché oggi è cambiato lo scenario: la capacità produttiva di un'impresa non dipende più solo da se stessa, ma dal contesto in cui è inserita. Per esempio, è sempre più difficile per un singolo sviluppare autonomamente nuove conoscenze: diventa cruciale la capacità di integrare gli elementi dell'innovazione produttiva e tecnologica in un contesto "macro". Torniamo all'inizio: la politica industriale perde capacità se non guarda all'intero sistema. Bisogna passare da una concezione di interventi isolati a una visione complessiva, ovvero ragionare per sistemi di imprese, passando dalla politica nazionale alla governance sovranazionale.

Rassegna Tutto questo non è ancora stato fatto?

Simonazzi In parte sì. Prima l'Unione europea interpretava la politica industriale semplicemente come gestione della concorrenza, facendo funzionare al meglio il mercato. Ora questa visione è stata superata: si pensa alla politica industriale come creazione di capacità e mobilitazione di risorse, con un ruolo più attivo degli Stati, sia a livello nazionale che regionale. Alcuni problemi restano: deve ancora passare l'idea che ogni Paese ha un livello di sviluppo diverso. Non si può applicare la stessa ricetta per tutti, un piano Juncker universale, così si rischia solo di allargare i divari. Al contrario, la politica europea deve ricostruire anche il tessuto economico e produttivo degli Stati devastati dalla crisi, con un'attenzione particolare a chi è rimasto indietro.

Rassegna In questo contesto, qual può essere il ruolo dell'Italia?

Simonazzi Il nostro Paese deve mostrarsi più attivo nel coordinamento tra i vari livelli: dobbiamo capire quale politica industriale vogliamo su base nazionale ed europea. Occorre puntare sulle cosiddette infrastrutture sociali: sanità, casa, istruzione, salute. Se il governo sceglierà di mettere i soldi nella sanità, allora questo deve essere un inizio per le imprese che operano nel settore, per esempio nella costruzione di macchine e robot per l'assistenza. Ma non basta più: bisogna mettere insieme imprese e domanda pubblica, attraverso un consorzio pubblico-privato. Le imprese devono essere competitive, naturalmente, e lo Stato deve aiutarle attraverso istituti di ricerca, innovazione e anche con la sua stessa domanda.

Rassegna Una sua idea più volte ribadita consiste nel legare parte degli investimenti ai servizi, per esempio rispondendo ai bisogni della popolazione anziana. Può spiegarcela meglio?

Simonazzi Si tratta di un'opportunità fondamentale. Partiamo dal presupposto che la domanda per la manifattura sta diventando sempre più ridotta, così i servizi diventano una fonte inesauribile di sviluppo. In Italia abbiamo una popolazione che invecchia, appunto, per questo la cura agli anziani è un'importante possibilità. Si guardi non solo al Giappone, da sempre all'avanguardia, ma anche ad alcuni Stati europei, come l'Inghilterra, che hanno già investito. La ricetta è trasformare un bisogno latente in una domanda effettiva: bisogna smettere di dare un'indennità di accompagnamento e poi lasciare sole le famiglie, invece conviene mettere insieme tutta la spesa attuale per gli anziani e organizzarla secondo un programma serio. Prendiamo tutti gli anziani italiani e facciamoli incontrare con le imprese che producono i servizi necessari: questo può diventare davvero un motore di sviluppo attivo. È un discorso che vale per la terza età, ma si applica anche ad altri settori: università, ricerca, ambiente, trasporti.