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L’ultima medaglia olimpica ancora da assegnare è per una disciplina sportiva che sembra appassionare molti in questo periodo: il tiro al sindacato. Le regole sono semplici: prendi una dichiarazione o un’intervista di un segretario o un delegato, traducila in modo opposto al contenuto originale e infine rilancia la nuova versione rivista e (s)corretta sull’universo social. Ma non basta, per puntare dritto all’oro, consegnala a qualche giornalista amico. Il podio, almeno quello mediatico, è assicurato.
Politici, editorialisti e leoncini da tastiera, tutti a pontificare e a criticare ogni respiro sindacale. Come se il virus fosse nato in un laboratorio segreto di qualche camera del lavoro e poi trasmesso tramite il sudore della fronte di chi per otto ore al giorno porta a casa mille euro al mese. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, è sotto il fuoco (più o meno) amico da settimane per aver ribadito delle posizioni arcinote da tempo, dentro e fuori la confederazione: implementare la campagna vaccinale; garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro; non far pagare ai lavoratori il vuoto (legislativo) della politica. Tradotto? “Landini no vax”; “Sindacato negazionista”; “La Cgil strizza l’occhio a Salvini”.
Un problema di comunicazione? Forse più di comprensione. E di malafede. Specie da parte di chi trova nel sindacato il male assoluto. Sempre e comunque. Attribuendo allo stesso dei poteri, e quindi delle responsabilità, che non ha. La politica nicchia, è colpa del sindacato. L’obbligo dei vaccini non c’è, è colpa del sindacato. La pandemia non rallenta, è colpa del sindacato. L’economia non riparte, è colpa del sindacato. La scuola è nel caos, è colpa del sindacato. I trasporti sono al collasso, è colpa del sindacato. Aspettiamo di leggere anche quali negligenze abbia avuto Landini, e il sindacato tutto, sulla situazione in Afghanistan in questi ultimi vent’anni.
Ma al peggio non c’è mai fine. Ora la disciplina olimpica in voga in questi ultimi giorni di agosto è un’altra: il salto della mensa aziendale. Come se il diritto di mangiare di un operaio a Torino a metà turno di lavoro sia lo stesso di un turista a Capri a metà spritz. Ma anche qui la colpa è del sindacato che vuole garantire diritti e tutele di chi “preferisce” indossare il casco, i guanti e la mascherina piuttosto che le infradito e il costume umidiccio di questa torrida estate italiana.