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Ancora i test Invalsi. Il convitato di pietra della nostra scuola, con tante criticità e polemiche sin da quando furono istituiti e cioè, dopo due anni di sperimentazione, nell’anno scolastico 2005-2006. L’ultima di queste polemiche è stata generata dal comma 6 dell’articolo 14 del dl Dl 19/24 (il decreto Pnrr 4). Quello che stabilisce che verrà inserita nel curriculum della studentessa e dello studente un’apposita sezione con l’indicazione dei livelli di apprendimento conseguiti, appunto, nelle prove Invalsi.
Una decisione fortemente contestata da Flc Cgil e studenti, secondo i quali si tratterebbe di un ulteriore tassello che vede il modello di scuola voluto da Valditara sempre più orientato verso una valutazione non formativa – cioè finalizzata al miglioramento del percorso scolastico – ma selettiva, performativa e dunque finalizzata a cristallizzare le differenze piuttosto che a superarle.
Ma andiamo con ordine. Per Graziamaria Pistorino, segretaria nazionale della Flc Cgil, va innanzitutto smontata una “bufala”. Non è vero, cioè, che “ce lo chiede l’Europa”: “Questo comma introduce una disposizione che in realtà non rientra tra gli obiettivi del Pnrr”.
La questione sostanziale però è un’altra, argomenta la sindacalista: “I test Invalsi sono pensati per una valutazione di sistema della scuola, sono griglie rigide, valide per tutti e tutte, standardizzate, e non possono avere ricadute nella valutazione individuale di studenti e studentesse”. Cosa che invece accadrà perché il curriculum dello studente – in cui appunto rientreranno anche i risultati dei test Invalsi – contribuisce alla predisposizione della prova orale da parte della Commissione dell’esame di Stato.
E qui il discorso si allarga a un tema più generale, quello della valutazione. “Il curriculum può essere utile per raccontare l'esperienza complessiva dello studente – commenta Pistorino –, ma se viene utilizzato ai fini valutativi nel colloquio finale, come è scritto nell'ordinanza sull’esame di Stato, allora diventa un marchio potenzialmente discriminatorio. Nel curriculum, infatti, rientrano anche le esperienze extrascolastiche – corsi di lingua a pagamento, attività di volontariato e così via – che sono inevitabilmente influenzate dai contesti culturali ed economici di provenienza”.
Tornando all’Invalsi, la Flc Cgil si è appellata al Garante per la protezione dei dati personali perché l’istituto nell’elaborazione dei risultati dei dati dei test ha introdotto un particolare indice, quello di “fragilità”: “Ci siamo appellati – attacca Pistorino – perché in questo modo si arriva a una vera e propria schedatura individuale degli studenti fragili, potenzialmente discriminatoria. Un bollino che non ha alcun valore formativo, ma che cristallizza situazioni in atto".
Un’azione coerente con quella che il governo sta cercando di attuare nella scuola primaria, con l’eliminazione del giudizio descrittivo e il ritorno al giudizio sintetico: “Per noi – riprende la segretaria della Flc Cgil – la valutazione deve essere formativa, deve cioè misurare i punti di partenza, gli obiettivi, partire dai contesti, migliorare la didattica, non dare, appunto un voto o applicare un bollino. Sarebbe il caso di confrontarsi con le più recenti elaborazioni di docimologia e pedagogia, mentre Valditara sembra voler tornare indietro alla scuola gentiliana”.
Se nella scuola la valutazione deve avere finalità di questo tipo è chiaro, dice ancora Pistorino, “che le modalità ingessate e standardizzate dei test Invalsi non significano niente, non ci dicono nulla di quel singolo studente”. Non solo: “Utilizzare gli esiti in questo modo invasivo rispetto al percorso scolastico – conclude – significa sottrarre la valutazione alla singola scuola, ai singoli docenti nel loro rapporto educativo con studentesse e studenti”.
E anche questi ultimi, infatti, si sono detti nettamente contrari a questa scelta, definendola come “l'ennesimo passo verso una scuola utilizzata esclusivamente per certificare competenze e non vissuta come comunità libera di confronto e di apprendimento”.
Per Paolo Notarnicola, coordinatore nazionale della Rete degli studenti medi, “è errato pensare che il nostro sistema d’istruzione possa essere calcolato solo sulla base di prove performative, per di più relegate solo a poche materie, che non tengono in considerazione le inclinazioni e le diverse intelligenze degli studenti”.
Non tutto è ancora compromesso. Lo spazio per cassare questa scelta sbagliata c’è ancora. Sempre che il Parlamento sia all’altezza delle proprie responsabilità.