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Nata in una famiglia di modestissime condizioni economiche, Teresa Noce sarà allevata insieme con il fratello dalla mamma dopo che il padre li aveva abbandonati. Costretta dalle circostanze a lasciare prestissimo la scuola svolgerà, piccolissima, vari mestieri, tra cui quello di sartina, di operaia in un biscottificio e, durante la Grande guerra, di tornitrice alla Fiat Brevetti. Nel Pci dalla sua nascita nel 1921, espatria nel 1926 con il marito Luigi Longo prima a Mosca, poi in Francia.
Nel 1936, dopo aver fondato a Parigi con Xenia Sereni il mensile Noi Donne è con Longo in Spagna, dove cura la pubblicazione de Il volontario della libertà, giornale degli italiani nelle Brigate internazionali. Rientrata in Francia allo scoppio della Seconda guerra mondiale, è internata nel campo di Rieucros, lo stesso che ospita Anita Contini, Anna Maria Montagnana, Elettra Pollastrini, Baldina Di Vittorio. Quando, per intervento dei sovietici, è liberata e dovrebbe ricongiungersi ai figli a Mosca, per il cambiamento delle alleanze militari non può farlo. Resta così a Marsiglia, dove, per conto del Partito comunista francese, dirige il Moi - l’organizzazione degli operai immigrati - e si impegna nella lotta armata condotta contro i tedeschi e i collaborazionisti.
Durante una missione a Parigi all’inizio del 1943, è nuovamente arrestata: viene deportata, prima nel lager di Ravensbrück, poi in Cecoslovacchia, dove a Holleischen le toccano i lavori forzati in una fabbrica di munizioni. Qui Estella celebra l’8 marzo del 1945: “Per l’8 marzo - racconta nel volume autobiografico Rivoluzionaria professionale - non potevamo organizzare una festa perché eravamo ormai troppo deboli e affamate, quindi decidemmo di tenere una conferenza. Al campo, le politiche che conoscevano un po’ di storia del movimento operaio internazionale erano una minoranza. Molte erano però coloro che avevano fatto parte della Resistenza, lavorando e sacrificandosi per la libertà. La conferenza doveva spiegare alle une e ricordare alle altre che donne di tutti i Paesi e in tutti i secoli avevano lottato per la libertà”.
Tornata in Italia Teresa è nominata alla Consulta e nel 1946 è la prima degli eletti alla Costituente della sua circoscrizione, una delle più votate del Pci a livello nazionale. Eletta in Parlamento, vi rimane per due legislature durante le quali presenta la proposta di legge per la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri ed un’altra, insieme a Maria Federici, che prevedeva eguale salario per eguale lavoro per donne e uomini. Intanto lascia la casa romana e si trasferisce a Milano, dove può occuparsi più da vicino della Fiot, sindacato dei tessili, di cui è segretaria.
“Io avevo accettato questo incarico contando proprio sull’aiuto dei compagni che svolgevano quel lavoro da più lungo tempo - dirà - Nessuno invece voleva aiutarmi e ognuno di loro si sentiva sicuro di essere più adatto di me a quella carica di segretario generale, per varie ragioni: io non conoscevo il lavoro sindacale attuale, ma solo quello di prima del fascismo o quello illegale; non conoscevo i problemi tecnici, settoriali; ero troppo «politica»; infine, ed era l’ostacolo principale, ero una donna. Il lavoro sindacale tessile non era mai stato diretto, neppure prima del fascismo, da una donna”. Nel 1953 scopre da un trafiletto comparso sul Corriere della Sera che il suo matrimonio è stato annullato. Estella - dopo aver chiesto inutilmente che fosse il Partito a farlo - invia al giornale una smentita, salvo poi scoprire che era tutto vero e che addirittura il marito aveva falsificato la sua firma.
Inizia così, tristemente, la sua parabola discendente: i compagni con cui aveva condiviso anni di lotte avalleranno il comportamento di Longo e sarà lei, alla fine, ad essere messa sotto accusa e ad essere espulsa dal Partito. Alle elezioni del 1958 non sarà ricandidata (per scelta personale, dice lei stessa) e nel 1955 abbandonerà anche l’incarico alla Fiot, allontanandosi gradualmente dalla vita pubblica (dal 1959 farà parte, per alcuni anni, del Cnel in rappresentanza della Cgil). “Quando, attraverso un legale, ebbi preso visione della sentenza di annullamento - racconta - provai un tale rigurgito di disgusto e di amarezza da ammalarmi. Le ragioni addotte per ottenere quella sentenza erano non solo false, ma offensive per me e anche per i genitori di Longo, ai quali si attribuiva addirittura di avere imposto con la forza il nostro matrimonio; e infine per Gigi che ne sarebbe stato la causa prima. Non potevo comprendere né avallare col mio silenzio un’azione che, oltre a essere indegna nei miei confronti, era palesemente contraria alla linea politica del Partito comunista. Decisi di battermi ricorrendo alla Commissione centrale di controllo. Seppi che non tutti i compagni erano stati d’accordo con quel modo di procedere, così come non tutti furono d’accordo quando venne decisa, senza neanche portare la questione nei suoi veri termini al Comitato centrale, la mia eliminazione dalla Direzione del Partito. Era questo il mezzo più facile per cercare di mettere tutto a tacere".
Nel suo racconto la vita privata e quella politica si intrecciano: "Il XX Congresso del Pcus non aveva ancora avuto luogo. Disgustata e ferita anche come militante del Partito, avrei voluto lasciare l’Italia per dimenticare quelle amarezze lavorando in altri paesi e continuando a battermi per la classe operaia. Ne parlai a Di Vittorio, che sapevo essere stato uno dei compagni contrari alla posizione della Direzione e alla mia esclusione da questa. Di Vittorio cercò di dissuadermi. Se proprio fossi stata decisa, avrebbe allora appoggiato la mia richiesta di lavorare alla Federazione sindacale mondiale. Ma pensava che fosse mio dovere rimanere, nonostante tutto, in Italia, dove i quadri sindacali femminili erano così pochi. … Giunsi a un compromesso: me ne sarei andata per qualche tempo a Parigi. Tra le vecchie amiche del carcere, tra le compagne scampate con me ai campi della morte avrei trovato conforto. Forse avrei potuto dimenticare quello che era il più grave trauma, politico e personale, della mia vita. Grave e doloroso più del carcere, più della deportazione”.
“Teresa Noce fu un ciclone di Resistenza - diceva di lei su Buona memoria la presidente dell’Anpi Carla Nespolo in occasione del quarantesimo anniversario della scomparsa - Attivissima antifascista dovette sopportare la clandestinità e la deportazione. Con il marito Luigi Longo - aderirono al Pci fin dalla sua fondazione nel 1921 - partì in Spagna per combattere, insieme a tanti altri volontari, in difesa della Repubblica dopo lo scoppio della guerra civile. Nel 1946 fu eletta nell’Assemblea costituente per lavorare alla definizione dell’ossatura dello Stato dopo il disastro della guerra e della criminalità fascista. Successivamente portò il suo instancabile entusiasmo civile anche alla Camera dove fu deputata per due legislature. Teresa fu un esatto profilo di donna pienamente consapevole della necessità di non voltarsi mai dall'altra parte di fronte alle aggressioni ai diritti e alle libertà. Un esempio di vita, di coerenza e di impegno democratico per le nuove generazioni”.