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È evidente che staccare la spina al governo Conte e tornare subito al voto conviene a Matteo Salvini e alla Lega. Ma alle migliaia di lavoratori coinvolti in situazioni di crisi che riguardano le loro aziende, a occhio e croce, l’assenza di un esecutivo potrebbe portare solo danni ulteriori e sofferenze che si sarebbero risparmiati. "È una campagna elettorale permanente". Così il segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha commentato giovedì 8 agosto l'accelerazione della crisi di governo, dopo che il leader della Lega – da una delle tante spiagge calcate nell'ultimo periodo – ha lanciato la propria candidatura a premier (ma non prima di aver fatto approvare il contestatissimo decreto sicurezza bis).
All'inizio della settimana si erano svolti due incontri tra esecutivo e parti sociali: il primo, quello ufficiale sulla manovra, a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte; il secondo al Viminale, convocato tra le polemiche dallo stesso Salvini. Ma entrambi, adesso, rischiano di restare senza un seguito. Così come, con un governo azzoppato, sarà ancora più difficile gestire i numerosi tavoli aperti ai ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico. Tra gli ultimi provvedimenti dell'esecutivo ci sono due decreti. Il primo sui rider, bocciato dalla Filt che lo giudica insufficiente e deludente; il secondo per i precari della scuola. Commento positivo in questo caso da parte dei sindacati, i quali però chiedono di procedere in fretta e di non porre paletti per le assunzioni.
Complessivamente sono tra i 200 e i 280 mila, a seconda delle stime, i lavoratori la cui azienda si trova in crisi, e di questi 46 mila strettamente dipendenti da una qualche forma di intervento pubblico. Il segretario generale della Fiom Cgil, Francesca Re David, facendo il punto sulle vertenze ha indicato 159 tavoli di crisi aperti al Mise.
È ancora in mezzo al guado, ad esempio, la vertenza che riguarda la ex Ilva di Taranto. Nei giorni scorsi il segretario confederale della Cgil Emilio Miceli ha richiamato il governo alle sue responsabilità: “L’unico soggetto responsabile – ha detto – è il sindacato confederale. Infatti, c’è un governo che non punta su Taranto e un’impresa che comincia ad accarezzare l’idea di una strategia d’uscita. La modifica della legge, la cig a freddo per 1.400 lavoratori, una crisi d’area complessa in cui non si vede nemmeno l’ombra degli investimenti promessi e sbandierati. Insomma, “il governo, la Regione Puglia e il Comune di Taranto - per Miceli - devono avere chiaro come salvaguardare un imponente luogo di produzione che dà impulso all’industria nazionale. La vertenza ex Ilva si intreccia poi con questioni assai rilevanti dal punto di vista ambientale e della salute e sicurezza: a fine giugno il Ceo della multinazionale ha minacciato la chiusura dello stabilimento a partire dal 6 settembre, se non verrà ripristinata l'immunità penale per la gestione del piano ambientale e industriale.
Resta alta l’attenzione dei sindacati anche sulla complessa vertenza dei lavoratori ex Mercatone Uno (1.800 posti di lavoro in bilico). Il primo agosto si è svolto al Mise l’incontro che ha avuto solo carattere informativo tra le federazioni di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs e i commissari straordinari. Forte delusione da parte dei sindacati per l'assenza del governo a cui più volte è stata richiesta la convocazione del tavolo di crisi. Per la presentazione delle offerte vincolanti per l’acquisto c’è tempo fino al 31 ottobre, mentre le operazioni di cessione dovranno chiudersi perentoriamente entro il 31 dicembre 2019. Il tavolo è stato aggiornato al 16 settembre a Roma; i sindacati confidano nella supervisione del ministero dello Sviluppo economico: ma ci saranno per quella data tavolo e ministro?
Non accenna a trovare una soluzione nemmeno la vertenza che riguarda la Whirlpool. Anche in questo caso è attivo un tavolo al Mise per scongiurare la chiusura del sito di Napoli, dove lavorano 430 persone. Nell’ultimo incontro, che si è tenuto il 24 luglio, si era aperto qualche spiraglio. L'azienda si era detta disponibile a ragionare sulla possibilità di continuare a fare le lavatrici a Napoli, puntando sul segmento premium e aprendo all’ipotesi di riportare produzioni dall'estero nello stabilimento partenopeo. Il governo, dal canto suo, ha comunicato di aver predisposto un decreto attraverso il quale l'azienda risparmierebbe 17 milioni di euro in 15 mesi attraverso la decontribuzione dei contratti di solidarietà. Secondo indiscrezioni di stampa di qualche giorno fa, la multinazionale avrebbe però già un accordo con l’industriale Giovanni Battista Ferrario. Anche in questo caso, la discussione era fissata in un ulteriore tavolo.
Per quanto riguarda Blutec, Di Maio a inizio mese ha prorogato la cassa integrazione fino a fine anno per 675 dipendenti più altri 300 lavoratori dell’indotto. Resta però il nodo delle prospettive industriali: di come rilanciare cioè il sito di Termini Imerese, lo stabilimento ex Fiat nei pressi di Palermo. Il 21 giugno il Mise aveva assunto l’impegno per l'avvio del percorso e della strumentazione prevista per l'area di crisi complessa. Per Fim, Fiom e Uilm "è necessario che arrivi al più presto la presentazione da parte del commissario straordinario del piano industriale per la reindustrializzazione dello stabilimento, e per far tornare al lavoro sia i lavoratori Blutec che quelli dell'indotto".
Nemmeno a Piombino la situazione è semplice. Il 6 agosto, a Roma presso il Mise si è tenuta la riunione della cabina di regia dei rappresentanti delle istituzioni firmatarie dell’accordo di programma. Anche in questo caso, c’era già un appuntamento fissato per settembre, sempre al Mise: in gioco è il futuro delle storiche acciaierie. Per i sindacati dovrebbe essere l’occasione per “capire l’effettivo progresso del piano industriale di Jindal Steel, i tempi per l’avvio della procedura di rinnovo della copertura degli ammortizzatori sociali e le eventuali risposte sul tema dell’energia elettrica”.
Da non tralasciare, infine, le vertenza Jabil (che ha annunciato 350 licenziamenti su 700 adetti dello stabilimento di Marcianise, ultimo presidio italiano delle multinazionale Usa). E Almaviva Palermo: sul call center siciliano, l’ultimo incontro si è tenuto al Mise il 31 luglio. Anche in questo caso i sindacati lamentano l’assenza del titolare del dicastero e non è stata trovata ancora alcuna soluzione per scongiurare il licenziamento di 1.600 persone. Secondo quanto riportato dal segretario generale della Slc Palermo, Maurizio Rosso, “al tavolo i rappresentanti del Mise hanno chiesto all'azienda di rimandare le procedure di licenziamento e di proseguire con gli ammortizzatori sociali. Ma Almaviva sostiene che non è più possibile continuare con gli ammortizzatori. Questo governo non riesce a capire qual è il vero problema del Mezzogiorno. Serve un impegno concreto per creare occupazione, non le mance degli ammortizzatori sociali.
Settembre sarà un mese decisivo anche per la vertenza Bekaert, l'azienda metalmeccanica di Figline Valdarno (Firenze) di proprietà della multinazionale belga, che ha deciso, ormai un anno fa, di spostare le produzioni in Romania, lasciando tuttora nell'incertezza i circa 230 lavoratori ancora inquadrati nel sito toscano, ma attualmente in cassa integrazione per cessazione (scadenza 31 dicembre 2019). Secondo la Fiom Firenze, “se cade il governo Conte non cambia niente, perché il governo è stato inesistente durante tutta la vertenza dal punto di vista industriale, anche se è stato lodevole il reinserimento della cigs, col decreto proposto dai sindacati recepito dall’esecutivo. Ora – prosegue la Fiom - l’auspicio è che quel tavolo, indipendentemente da chi sarà al governo, sia ancora in piedi. Ci aspettiamo una nuova convocazione al Mise per discutere in maniera approfondita di quelle che finora erano solo manifestazioni di interesse e che speriamo a settembre siano piani industriali elaborati per il rilancio di un'attività che possa farsi carico di tutti i lavoratori ancora in cassa integrazione, obiettivo che al momento si è prefissato solo il comitato promotore della cooperativa costituita da un gruppo di lavoratori Bekaert”.