Negli anni ’60 le industrie facevano a gara per venire a Taranto. C’era la convenienza di una terra ancora tutta da conquistare e gli operai “metalmezzadri” descritti da Tobagi erano anche la garanzia di un giusto scambio con il territorio da sempre piagato da arretratezza e disoccupazione, e quindi forse anche più arrendevole.
Oggi a Taranto le macerie attorno al grande colosso siderurgico non si contano, ma fanno anche poco notizia. Lo Yard Belleli, l’ex Marcegaglia, l’alluminio della Sural non ci sono più e mentre si invocano risposte per i diretti e gli indiretti al servizio della multinazionale Arcelor Mittal, da anni i 60 dipendenti Cementitalia (ex Cementir) sono in cassa integrazione, in attesa di un piano industriale che torni a farli sentire lavoratori.
La storia dell’ex Cementir è infatti una piccola Ilva. Nata negli anni ’60 all’ombra dell’Italsider che la riforniva di loppa per fare il pregiato clincker (l’Italia un tempo era ottavo produttore mondiale), oggi rimane una fabbrica desolatamente dismessa e tutta da bonificare. Partecipazioni statali, privatizzazione, ingresso di investitori esteri, ridimensionamento produttivo e occupazionale e infine disimpegno a seguito delle inchieste della magistratura e dei sequestri arrivati fin dentro al parco loppa, vera e propria mammella del siderurgico da cui si nutriva anche il cementificio tarantino.
Oggi Giuseppe, Santo, Carlo e Salvatore raccontano la loro vicenda e quella di chi spera di poter riconquistare un posto di lavoro e non mero assistenzialismo. Con loro fuori da quel sito produttivo un tempo vanto della “vocazione” industriale tarantina anche il segretario generale della Fillea Cgil di Taranto, Francesco Bardinella, che non li ha mai abbandonati.
Sullo sfondo della “loro” fabbrica il gigante d’acciaio con i suoi 10mila dipendenti diretti. “Noi siamo piccoli – dicono – siamo solo sessanta, ma se non sono riusciti ancora a dare una risposta a noi…”. Nel frattempo a dicembre di quest’anno la loro Cassa Integrazione sarà scaduta e forse si tornerà a parlare di “quei 60 in attesa da anni”.