Mentre si consuma in queste ore l’acceso dibattito sulla vicenda che vedrebbe il governo italiano coinvolto in presunte trattative con Elon Musk per l’utilizzo di Starlink per usi legati alla difesa, tra una smentita ufficiale e un rilancio della notizia sui social da parte dello stesso interessato, quel che è certo è che il governo si sta muovendo per sondare possibili utilizzi dei satelliti per fini civili (il riferimento è dunque ancora a Starlink, che al momento ne è di fatto il monopolista).

Qualche mese fa era stato lo stesso sottosegretario all’innovazione Butti a parlare di un “Progetto pilota in Lombardia per valutare la possibile integrazione della tecnologia spaziale con Ftth e Fwa” ed è di pochi giorni fa la pubblicazione sulla piattaforma Sintel da parte di Aria (l’azienda per l’innovazione e gli acquisti della regione Lombardia) di un bando per la sperimentazione di servizi di connettività satellitare complementari alla fibra da utilizzare nelle aree remote della regione.

Per questo progetto, in cui gli aggiudicatari saranno chiamati a testare l’utilizzo di reti space-based per la fornitura di capacità di backhauling satellitare in sinergia con quelle terrestri, il finanziamento è pari a 6,5 milioni di euro. Di questi, 5 milioni di euro rappresentano la quota di competenza proprio del Dipartimento per la trasformazione digitale (Dtd) della Presidenza del Consiglio dei ministri (a valere sul Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione) mentre il restante milione e mezzo viene messo a disposizione dai fondi di Regione Lombardia.

La procedura riguarda due lotti: il primo destinato alle Province di Sondrio, Como, Bergamo, Varese, Lecco, Brescia, Monza e Brianza e il secondo per le Province di Milano, Pavia, Cremona, Lodi, Mantova. È tuttavia facilmente immaginabile che, se dal progetto pilota arriverà un feedback positivo, potrebbero seguire altre regioni.

Questo apre però scenari tanto complessi quanto contestabili dal punto di vista delle prestazioni raggiungibili e del conseguimento degli obiettivi fin qui fissati dalle varie strategie per la Banda ultralarga. I satelliti più potenti, peraltro soggetti alle condizioni atmosferiche, garantiscono al massimo 150 mega in download contro 1 giga della fibra. La connessione via satellite non può competere dunque a livello di prestazioni con quella in fibra. Un elemento, questo, tutt’altro che marginale.

Quello che evidenziamo dunque è che anche in questo caso sembra applicarsi la vecchia ricetta: ogni volta che un obiettivo viene mancato, piuttosto che lavorare per rimuovere le cause che determinano l’insuccesso, si agisce per abbassare l’asticella. Non vorremmo che quest’ultima in questo caso fosse rappresentata da un ridimensionamento anche in termini prestazionali degli obiettivi da raggiungere.

Se il bando sopracitato fosse utilizzato come apripista, nell’ottica di considerare la futura applicazione di questa tecnologia su larga scala, c’è il rischio che parte delle risorse del Piano Italia 1 Giga vengano deviate per l’utilizzo dei satelliti anche nelle aree in cui oggi si registrano ritardi nell’esecuzione dei lavori.

Il ragionamento, che a una prima impressione potrebbe apparire sensato (posto che davvero i traguardi annunciati siano davvero irrealizzabili nelle tempistiche attese), darebbe vita a due problemi non di poco conto: il primo è che si devierebbero risorse spettanti a Fibercop e Open Fiber. Risorse affidate sulla base di gare regolarmente svolte e vinte, arrecando oltretutto un danno anche per lo Stato, che è azionista di entrambe le società.
Il secondo, come accennavamo, riguarda la velocità di connessione che i servizi così erogati non assicurerebbero.

Dunque, a parità di spesa, che grava su fondi europei, si fornirebbe un servizio inferiore rispetto allo standard inizialmente garantito.Senza contare gli impatti occupazionali, in un settore già fortemente provato anche dalla totale assenza di politiche di sistema che guardino allo sviluppo e al consolidamento delle aziende italiane. Ancora una volta, dunque, lavoratori, cittadini e imprese rischierebbero di pagare il conto di quelle scelte mercatiste che hanno portato alla situazione attuale e che oggi vedono lo scenario complicarsi ulteriormente.

Sicuramente poco è meglio di niente, per cui a quella parte di Paese che oggi è tagliata fuori dalle infrastrutture digitali qualsiasi soluzione migliorerebbe comunque la propria condizione. Il punto però è che seguendo questa logica si rischia di dare il colpo di grazia all’idea di garantire connessioni ad alta velocità affidabili e resilienti a tutto il Paese. Conditio sine qua non per assicurare a tutti i cittadini gli stessi diritti di cittadinanza e mettere l’Italia in condizione di competere al pari di altri Paesi, europei e non.

Un elemento di parziale rassicurazione in questo scenario è dato dal fatto che la Commissione Ue dovrà essere chiamata a dare il via libera se il governo dovesse decidere di procedere con gare non solo per la mera sperimentazione, ma anche per coprire i “buchi” che stanno emergendo a fronte dei forti ritardi accumulati dagli aggiudicatari nella copertura con la fibra ottica delle aree grigie inserite nel progetto “Italia a 1 Giga”.

Barbara Apuzzo è responsabile Politiche e sistemi integrati di telecomunicazione Cgil
Michele Azzola è coordinatore Area politiche industriali e reti Cgil