Questa mattina al tribunale di Latina si aprirà il processo per la morte di Satnam Singh. Un nome che molti forse hanno già dimenticato. Troppo straniero, troppo povero, troppo lontano dalla nostra piacevole normalità. La sua storia, cruda e scomoda, è quella di un bracciante indiano lasciato morire lentamente sul ciglio di una strada sterrata, abbandonato non soltanto dai suoi aguzzini, ma anche da un’intera comunità che da anni preferisce distogliere lo sguardo.

Satnam aveva solo 31 anni quando ha perso la vita. Una vita spezzata non da una tragica fatalità, ma da un sistema calcolato che riduce l’essere umano a un ingranaggio sacrificabile, in nome di un profitto che ha perso qualsiasi scrupolo morale. Non è stato soltanto sfruttato fino allo sfinimento: è stato cancellato come persona, ridotto a scarto, e lasciato morire come un rifiuto ingombrante ai margini della nostra società.

Il dibattimento che si apre oggi non è soltanto un atto giudiziario, una procedura burocratica da archiviare rapidamente. È l’occasione, forse l’ultima, per accendere una luce spietata sulle filiere che producono verdure a basso prezzo e morti a basso costo. La posta in gioco non è solo la sacrosanta giustizia per Satnam, ma una presa di coscienza pubblica e collettiva che possa finalmente spezzare il circolo vizioso della tolleranza silenziosa e della complicità indiretta con uno sfruttamento ormai sistematico e legalizzato.

Perché Satnam non è un’eccezione. È il paradigma. È la regola non detta di un sistema produttivo dove il profitto si misura sulla pelle degli ultimi. E dove il silenzio di chi guarda altrove è parte del problema. Non c’è niente di tragicamente imprevisto nella sua morte: era già scritta, nonostante fatichiamo a leggerla.

Oggi, fuori dal tribunale di Latina, ci dovremmo essere tutti per dire che non basta più piangere i morti. Bisogna iniziare a difendere i vivi. E chiedere conto non solo ai padroni diretti, ma a chiunque permetta che tutto questo accada, a tutta la filiera criminale che va avanti senza un briciolo di coscienza: aziende, fornitori, supermercati, istituzioni.

Perché la vera domanda non è se Satnam avrà giustizia, ma se noi avremo il coraggio di meritarla.