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Se non si mette mano a quale debba essere la funzione di una azienda di servizio pubblico, su come debba essere finanziata e governata, il declino della Rai sarà inarrestabile. Di questo tema cruciale per il paese abbiamo parlato con il segretario nazionale della Slc Cgil Riccardo Saccone.
Sono cambiati governance, direttori di testate e di reti. Personalità di spicco, che hanno fatto grande la Rai, se ne sono andate. Qual è il pericolo che tu intravedi per il servizio pubblico?
La Rai è in ritardo nei ragionamenti sulla transizione digitale, l'incidenza delle piattaforme, i nuovi modelli comunicativi di fruizione e produzione dei contenuti. Oggi stiamo assistendo a un giro di valzer che impoverisce sempre più l'azienda, ma il tema vero è un altro: a cosa serve la più grande azienda culturale del paese, qual è il ruolo del servizio pubblico in una fase di transizione digitale? Nessuno si pone questi interrogativi. E intanto l'azienda è afflitta da grandi problemi: aumenta l'età media dei lavoratori, e la situazione debitoria è sempre più grave. Siamo infatti arrivati a 600 milioni di debito, di cui 300 milioni garantiti da un bond a tassi elevati.
A questo proposito c’è chi vorrebbe mettere in discussione il canone
È un tema sul tappeto. All’interno della maggioranza hanno idee varie: c'è chi dice che non bisogna più prelevarlo attraverso la bolletta elettrica e chi sostiene che andrebbe abolito. Vorrei ricordare che il servizio pubblico negli altri grandi paesi europei è finanziato, appunto, dal pubblico. E se il canone non si riscuote attraverso la bolletta, vorrei capire cosa si pensa di fare per evitare l’evasione. È bene poi ricordare che una quota del canone non va all’azienda ma serve a finanziare la libertà di informazione. Mi sembra, quindi, che si tratti di un dibattito che si autoalimenta mentre l’azienda muore. E non solo muore da un punto di vista dei fondamentali economici, ma nel vissuto collettivo italiano che non la considera più un valore, un bene comune, ma sempre di più un carrozzone. Tutto questo mentre, anche grazie alla pandemia, la fruizione di contenuti attraverso le piattaforme è enormemente aumentata.
Torniamo al punto, qual è la missione di Rai?
Su questo tema anche il sindacato deve riuscire a promuovere un grande confronto, soprattutto ora che si sta discutendo del contratto di servizio, su ruolo e funzione del servizio pubblico. Che cosa deve essere il contratto di servizio? Solo un compitino da assolvere? Oppure un momento nel quale si apre una discussione a tutto tondo con tutti gli stakeholder, a partire dalla politica, visto che stiamo parlando pur sempre di un servizio pubblico? A me non scandalizza che l'editore di riferimento voglia dire la sua. Il tema è che mi piacerebbe che dicesse la sua sul futuro di questa azienda e non soltanto sul direttore, il vicedirettore e così via. Allora se non si apre questo ragionamento in tempi velocissimi – e se soprattutto non si mette mano quei due elementi: come si sostanzia e governa l'azienda – il declino è probabilmente inevitabile.
Dicevi che non ti scandalizza che la politica si occupi di Rai. Ma deve essere il Parlamento, luogo della rappresentanza popolare, o il governo?
È certamente arrivato il momento di metter mano alla governance della Rai: la riforma fatta nel 2015 da Renzi spostò i pesi verso all’esecutivo, mentre io credo che occorra tornare ad un modello che veda centrale il Parlamento che rappresenta l’intero Paese e non solo la maggioranza pro tempore. Dico pro tempore perché un altro dei problemi che sta diventando spiazzante nel rapporto fra l'azienda e la politica è proprio quello dei cicli politici sempre più brevi. È evidente che con cicli politici più lunghi si era potuto mettere in campo un piano industriale che si intersecava bene o male con quelle fasi politiche. Si tratta di un problema ineludibile: lo scorso consiglio d'amministrazione nasce giallo-verde, presto si trasforma in giallo-rosso, poi viene parzialmente stravolto dal governo Draghi e infine del tutto stravolto da questo governo. Tutti più o meno hanno avuto gli stessi comportamenti in un quadro sbagliato all'origine. Insomma occorre costruire un sistema di regole che valga anche nei periodi bui.
Anche il sindacato può essere uno dei soggetti promotori di questa grande discussione sul ruolo del servizio pubblico, dicevi prima...
Vogliamo aprire questa discussione, soprattutto sui territori: pensiamo che il sindacato sia pienamente titolato a fare. Oggi in Rai si lavora male, i lavoratori sono frustrati, non sono contenti, non si riesce a investire sulle loro qualità, non si riesce a investire sulla formazione. D’altra parte se non si ha idea di cosa debba essere la Rai tutto ciò è inevitabile. In passato quest’azienda è stata un grande motore dello sviluppo tecnologico del Paese, mentre oggi può non esserlo più. Anzi rischiamo come è successo con Telecom di sprecare quello che è stato. Basti pensare a Raiway, un vero patrimonio infrastrutturale che, così come potrebbe accadere per una parte del patrimonio immobiliare, rischia di essere venduto per far cassa, senza appunto considerare obiettivi e missione strategica dell’azienda. Ripeto è indispensabile aprire una grande discussione su cosa debba essere l’azienda di servizio pubblico. Altrimenti saremo tutti più poveri e forse un po’ meno liberi.