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In questi anni, e non solo negli ultimi mesi, vi è stato un progressivo ma sistematico disinvestimento, economico ma anche politico e culturale, sul welfare pubblico e universale. Vi è stata la destrutturazione dell'idea di fondo che lo reggeva e cioè che fosse lo Stato a dover garantire l'accesso alla "cura" in modo uguale tra tutte le cittadine e i cittadini.
Una idea di cura, centrata sull’idea di salute più che di “sanità” e per questo intesa come presa in carico della persona nel suo complesso, con azioni tese al suo benessere psico-fisico. Una cura pensata e agita dentro alle comunità, come responsabilità collettiva e finanziata dalla ridistribuzione di ricchezza attraverso la fiscalità progressiva
Via via, a volte sotto traccia, a volte in modo esplicito tale impianto è stato destrutturato spingendo, soprattutto sulla sanità, in tre direzioni. Per prima cosa si è andati ovunque era possibile mettere in produzione la “sofferenza” nella direzione della privatizzazione delle prestazioni (accompagnata all’interno dall’aziendalizzazione della Asl in cui le persone più che come cittadini e cittadine sono state trasformate in clienti).
La seconda spinta ha riguardato la medicalizzazione di ogni aspetto di malessere sociale, in parte anche qui in modo funzionale sia alla privatizzazione, sia a un’idea contenitiva e istituzionalizzante delle persone fragili o in difficoltà. Per terzo, si sono scaricate molte delle responsabilità di cura sulle famiglie e quindi, visto il forte squilibrio di genere che ancora spingono a interpretare tale ambito come caratterizzato al femminile, sule donne.
Insomma, come ricorda Maurizio Franzini, per molti versi il welfare è tornato a essere fatto privato piuttosto che responsabilità dello Stato. Tale deriva è ulteriormente aggravata perché è stata accompagnata da una vera e propria propaganda fondata su alcuni slogan che a forza di essere ripetuti quasi come un mantra hanno finito per cambiare il senso comune prevalente nel Paese: privato efficiente pubblico mal funzionante. Disuguaglianze normali al fine di poter garantire lo sviluppo del paese. I poveri colpevoli della loro condizione. L’universalismo di accesso alle prestazioni sbagliato perché i meritevoli devono avere più di chi non merita.
E così oggi, di fronte a una destra che propone un impianto di politiche sociali corporativo, identitario e paternalista ci siamo scoperti tutti e tute più deboli e isolati nell’attacco esplicito al welfare pubblico e universale
Per questo mai come oggi è tempo di coalizioni e alleanze. Mai come oggi è urgente che movimenti, sindacati, associazioni del civismo attivo, il mondo dell’impresa sociale, le tante istanze dell’auto-organizzazione sociale e civica devono trovare una piattaforma unitaria e condivisa per fare partire una mobilitazione dal basso per difendere e rilanciare il welfare nel nostro Paese, le cui politiche, come sappiamo bene e come emerge da una molteplicità di ricerche di settore, non sono un esito ma il presupposto di uno sviluppo giusto e con al centro le persone e non solo il profitto
In tale quadro diventa oggi essenziale a partire dalla difesa del servizio sanitario nazionale che come per altro emerso con evidenza in pandemia, nonostante i sistematici tagli alle risorse economiche e umane, continua a rappresentare una delle eccellenze del Paese.
Sapendo che la difesa della sanità pubblica e più in generale del welfare, visto che il suo funzionamento è garantito dalle tasse che tutte e tutti noi paghiamo, è il modo più diretto e concreto che abbiamo per essere coerenti con l’art. 3 della nostra Costituzione che assegna alla Repubblica e quindi a ogni cittadina e a ogni cittadino il “compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona”.
Andrea Morniroli, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità