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Tre mesi, 30 ore extracurricolari, gli studenti e le studentesse in circolo, un prof in mezzo e – ma solo occasionalmente – psicologi più, non potevano mancare, influencer. È la ricetta del ministro Valditara: si chiama metodo T-group (training group) inventato da Kurt Lewin nel 1946. L’idea è che si apprende dalle interrelazioni che si creano durante la discussione: basta un prof moderatore e, all’uopo, un esperto.
Il progetto – per ora facoltativo – è stato presentato questa mattina (22 novembre) insieme ai ministri dalla Famiglia, Natalità e Pari Opportunità, Eugenia Roccella, e della Cultura Gennaro Sangiuliano
"Occorre dire basta in modo totale, definitivo e drastico a quei residui di cultura maschilista o 'machista' che ancora inquinano il nostro Paese. È assolutamente inaccettabile che la donna debba subire quotidianamente, vessazioni, umiliazioni, violenze, sino ad arrivare ai tragici fatti di questi giorni". Così Valditara durante la conferenza stampa.
Qualcuno in questi giorni ha ricordato polemicamente che il progetto (“Educare alle relazioni”) è parto dell’ormai celebre Alessandro Amadori, consulente del dicastero, e assurto agli onori delle cronache per le perle contenute nel volume (autopubblicato: stile Vannacci) La guerra dei sessi. Piccolo saggio sulla cattiveria di genere, in cui si possono leggere perle come: “L'uomo è (anche) cattivo, il maschio è (anche) cattivo” e, inoltre, “parlando di male e di cattiveria, dovremmo concentrarci solamente sugli uomini? Che dire delle donne? Sono anch'esse cattive? La nostra risposta è ‘sì’, più di quanto pensiamo”.
Insomma: siamo tutti un po’ cattivi, che poi siano i maschi a uccidere le donne è un dettaglio, evidentemente.
Andando nel concreto e prescindendo dal suo autore, che il progetto possa essere efficace per raggiungere risultati così ambiziosi pare però assai dubbio. Netta la bocciatura della Flc: “Si va in direzione contraria rispetto a quella che per noi deve essere l'educazione di genere e alle pari opportuntà nelle scuole”, attacca la segretaria nazionale del sindacato della conoscenza della Cgil, Manuela Calza. Che osserva: “Per quello che ci riguarda questo tipo di educazione deve essere trasversale. Se ne deve far carico tutta la comunità educante e quindi non va collocata in ore specifiche, men che meno in orario pomeridiano, cosa che potrebbe creare anche problemi organizzativi”.
Negativo anche il giudizio sul ruolo che i docenti verrebbero ad assumere in questa sorta di gruppi di autocoscienza: “Definendoli ‘moderatori’ – incalza la sindacalista – li si trasformerebbe impropriamente in una sorta di psicoterapeuti”, per non parlare dello spazio affidato agli influencer “che già occupano spazi massicci, e non sempre positivi, nel quotidiano di ragazze e ragazzi”.
Male anche l’enfasi posta dal ministro sugli aspetti repressivi. Per la segretaria Flc non è compito della scuola informare sulle sanzioni previste per gli eventuali reati e, soprattutto, “la paura della pena non è mai un deterrente, non scoraggia”. Ma l’ottica securitaria, d’altra parte, è marchio distintivo di un governo in questo pienamente e corentemente di destra (basti pensare all’ultimo Ddl sicurezza), a partire dal ministro Valditara, di cui ricordiamo l’enfasi posta sui provvedimenti disciplinari.
Per Calza è profondamento sbagliato affrontare il tema della violenza contro le donne partendo dal suo ultimo – seppur tragico – tassello: la violenza. Se davvero, come ha detto il ministro in conferenza stampa, il progetto “prende le mosse dalla mia volontà di dire basta ai residui di cultura maschilista” e se “il fatto che la donna debba subire quotidianamente vessazioni è inaccettabile”, allora secondo la sindacalista, “per combattere il patriarcato, il contributo che la scuola può dare è agire sugli stereotipi, sui pregiudizi: deve cioè operare a monte, sul piano culturale”.
Ma attenzione, conclude Calza: “La scuola non può essere il soggetto su cui scaricare tutte le responsabilità. La scuola è importante, ma è parte di un contesto generale e se non agisci su di esso è difficile ottenere risultati”.
Una scuola in fondo dimenticata, nonostante tutta la retorica del post-covid. Una scuola a cui si continuano a tagliare risorse, in cui ragazze e ragazzi passano metà della propria giornata in edifici fatiscenti, con tanti insegnanti precari e una continua riduzione del tempo dell’apprendimento. Sembrano temi distanti, ma un’educazione al vivere civile, al rispetto delle persone a prescindere dal genere e dagli orientamenti sessuali (a proposito: su questo tema nel progetto non c’è nulla), passa anche di qui.
Anche gli studenti dicono no
Negativo anche il giudizio della Rete degli studenti medi: “Questa non è l’educazione sessuale, affettiva e al consenso che serve nelle nostre scuole. Vogliamo percorsi obbligatori in orario curricolare, che siano davvero formativi, gestiti da psicologi, sessuologi, ginecologi, operatori dei centri antiviolenza, obbligatori per tutti gli studenti e davvero transfemministi”, si legge in una nota.
Non soddisfacenti anche le risposte date dal ministro in merito alla figura di Amadori: “Assurdo che siano questi i riferimenti che il ministro vorrebbe come capofila di questo progetto nelle nostre scuole”.
Insomma, conclude la nota: “Non è questa l’educazione transfemminista di cui abbiamo bisogno. Continueremo ad autoformarci nelle nostre assemblee di istituto, invitando esperti laici e professionali, che ci aiutino a decostruire gli schematismi patriarcali che la società ci impone, finché non otterremo una legge nazionale adatta. il 25 novembre scenderemo in piazza anche per questo”.