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Tutti assicurano che a settembre la scuola riparte. Ma come? Di questo, nonostante un certo presenzialismo della ministra Azzolina, si sa ben poco. Una cosa si è ormai capita: la scuola a distanza non è vera scuola. È una toppa nel buco tragico dell’epidemia ed è servita a fare quello che si poteva in piena emergenza. La scuola è tale solo se in presenza, se coltiva le relazioni interpersonali in quell’insieme concretissimo che è la comunità educativa e in cui il tempo scuola che si trascorre insieme serve a “correggere” le diseguaglianze sociali, affettive, psicologiche di partenza. Senza questo luogo l’ascensore sociale, che pure in questi anni ha avuto tante battute d’arresto per colpa di tagli e ridimensionamenti, rischia di fermarsi ai piani più bassi. Insomma: la peggiore aula – scalcagnata, con i muri scrostasti e le tapparelle che non si abbassano – sarà sempre meglio delle pareti labili ed evanescenti della stanza di virtuale di una delle tante applicazioni a cui in queste settimane di piena emergenza si è stati costretti a ricorrrere.
A settembre dunque in qualche modo si tornerà a scuola. Torna però la domanda iniziale: come? con quale organico, con quali interventi concreti per assicurare il necessario distanziamento scolastico (anche alla luce del fenomeno delle classi pollaio, rispetto al quale il Milleproroghe ha però recentemente stanziato 55 milioni di euro) non è dato sapere. Temi densi e complessi, da affrontare con tempestività e insieme seria riflessione e proprio per questo a tanti non è piaciuto il fatto che il primo ministro Giuseppe Conte, nel suo intervento del 26 aprile sulla fase 2, abbia parlato assai poco di scuola e comunque non di sua iniziativa, ma solo perché sollecitato dalla domanda di un giornalista. Quando in una situazione come questa non si ha chiaro che la scuola debba essere ai primi posti nelle priorità di un governo, non è certo un bel segnale.
Mentre la ministra Azzolina su questi aspetti tace, molti osservatori si misurano con esercizi di fantasia: doppi turni, orari ridotti, percorsi misti in presenza e a distanza e così via. Quale che sia la scelta con sui si procederà, è evidente che il nodo è sempre quello delle risorse: servono soldi per assumere docenti e intervenire per rendere gli edifici sicuri in una situazione di emergenza che probabilmente non finirà con l’estate. Cerchiamo dunque di fare il punto per capire cosa ci aspetta.
Organici e precari
Considerata la situazione che si verrà a creare a settembre, la scuola italiana è chiamata a una sfida che sinora non è mai stata vinta ma che risulta tanto più importante in un contesto come questo: coprire sin da settembre tutte le cattedre, stabilizzando i precari e frenando così la supplentite. In mancanza di interventi di reclutamento efficaci la Flc calcola per il prossimo anno circa 90 mila precari in classe. E il punto è proprio questo. Il 29 aprile aprile in Gazzetta sono stati pubblicati i bandi dei tre concorsi per l’assunzione di 62 mila insegnanti (più un quarto riservato però alle sole abilitazioni): il più urgente è quello straordinario per 24.000 posti nelle scuole superiori riservato a chi ha maturato almeno tre anni di servizio; gli altri due ordinari, per superiori e infanzia/primaria, si svolgeranno invece in autunno.
Ma i sindacati contestano fortemente la scelta della modalità in cui il ministro ha deciso di procedere per lo svolgimento del concorso straordinario e cioè con quella classica che alla valutazione dei titoli aggiunge i test da svolgere nelle diverse sedi regionali. E visto che le domande si potranno presentare dal 28 maggio al 3 luglio, “tutti sappiamo che sarà impossibile svolgere le procedure del concorso straordinario prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, che a settembre gli attuali precari saranno ancora tali e le classi saranno ancora scoperte”, si legge in una nota molto dura di Flc Cgil, Cisl Fsur, Uil Scuola Rua, Snals Confsal, Gilda Unams. Per i sindacati, insomma, “nella fase in cui la riapertura richiederà stabilità delle cattedre e certezze, il ministero scarica sulle scuole l’onere di nominare quasi 200 mila supplenti, con graduatorie insufficienti e sovraccarico di lavoro sulle scuole che avranno ben altri problemi da gestire”.
I sindacati hanno una loro proposta. Ce la spiega Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil: “Chiediamo una misura ponderata e lungimirante: coprire le migliaia di cattedre vacanti con una procedura per titoli (vale a dire gli almeno tre anni di servizio, ndr) per poi procedere alla formazione abilitante e successivamente alla valutazione prima di dare la conferma nel ruolo”. Per il ministro si tratterebbe di una “sanatoria”, ma per Sinopoli non è così, in quanto questa modalità “punta sulla formazione pedagogico didattica e non bypassa la selezione, ma la ricolloca al termine del percorso di prova e formazione, per farla più seriamente e con maggiore contezza di quanto non possa fare il quiz. Non bisogna dimenticare che i supplenti di cui si mette in dubbio la professionalità sono i medesimi che stanno insegnando da anni nelle classi e che oggi sono in prima linea anche nella didattica a distanza".
A questo punto l’unica speranza, una volta pubblicati i bandi, è quella di intervenire tramite emendamenti – che ci sono – sulla legge di conversione del dl 22/2020 per cambiare il modo di selezione.
La didattica a distanza: finisce qui?
Tra le proposte che che si alternano in queste ore per l’inizio del prossimo anno scolastico c’è, appunto, anche quella di proseguire in modalità didattica a distanza (dad) per una parte dell’orario scolastico. Ma i problemi che una tale prospettiva apre sono molti, a partire ovviamente dalla scuola primaria, dove chiaramente questa modalità mostra i limiti più evidenti nonostante l’impegno di maestre e maestri. Ma i problemi riguardano anche gli altri ordini di scuola e non sono solo di ordine didattico-pedagogico.
Hanno fatto molto discutere, a questo proposito, i dati Istat resi noti nelle scorse settimane e secondo i quali la percentuale di famiglie senza computer supera il 41% nel Mezzogiorno, con Calabria e Sicilia in testa (rispettivamente 46% e 44,4%), ed è di circa il 30% – nelle altre aree del Paese. Più alta nel Mezzogiorno anche la percentuale di famiglie con un numero di computer insufficiente rispetto al numero di componenti: il 26,6% ha a disposizione un numero di pc e tablet per meno della metà dei componenti e solo il 14,1% ne ha almeno uno per ciascun componente. La Flc ha redatto un manifesto per la dad che si può leggere e sottoscrivere.
È una situazione di disagio pesante che Adriano Rizza, segretario generale della Flc siciliana, conosce bene: “Nella nostra regione il 44% delle famiglie è sprovvisto di computer o tablet – racconta –. Ed è dunque chiaro che il ricorso alla didattica a distanza rischia di acuire ancor di più il divario sociale tra le famiglie. Ben 300.000 studenti non hanno un device a disposizione. Senza sottovalutare il problema della connessione alla rete che dovrebbe ormai essere un bene comune gratuito”. La dad rischia di lasciare indietro tanto studenti in un paese come il nostro che è al terz’ultimo posto in Europa nella brutta classifica della dispersione scolastica: solo nello scorso anno scolastico più di 100.000 studenti hanno lasciato la scuola e dal 1995 a oggi abbiamo perso tre milioni e mezzo di ragazze e ragazzi.
L'anno in corso: voti ed esami
Alcuni nodi rimangono tuttavia aperti anche per l’anno in corso. Come è noto non ci saranno bocciati nelle classi intermedie. Nessun respinto, dunque, ma la ministra Azzolina, con la sua ansia valutativa, ribadisce sempre che “un otto è un otto e un quattro è un quattro”. Anche in questo caso, comunque, criteri e modalità di valutazione degli studenti “a distanza” sono ancora abbastanza confusi. La Flc Cgil ha lanciato una petizione online per abolire il voto numerico nella scuola primaria: un’esigenza che nasce dalle difficoltà attuali, ma che guarda anche a un diversa idea da dare alla valutazione in prospettiva. Le insufficienze andranno comunque recuperate a settembre. E non sarà facile, perché ai numeri “normali” si sommano quelli chi sarebbe stato bocciato. Secondo una proiezione basata sui dati dello scorso anno sarebbero ben oltre 600.000 gli studenti delle secondarie che dovranno recuperare, un numero elevato da gestire in una situazione che sarà ancora d’emergenza, tanto che le associazioni dei presidi hanno chiesto addirittura di dedicare a questa attività l’intero mese di settembre. Insomma, quale scuola avremo a settembre ancora è difficile da dirsi.
Quanto agli esami, per le scuole medie studenti e studentesse si limiteranno a redigere una tesina, mentre per la maturità proprio nei giorni scorsi è arrivato il chiarimento della ministra: dal 17 giugno un esame solo orale con un argomento proposto dagli studenti e condiviso dai professori e 60 crediti per il percorso nel triennio e 40 per l'orale. Dure le critiche dei sindacati: "Ancora una volta la ministra Azzolina non perde l'occasione per fare una scelta fuori luogo: in un momento così delicato per la vita del Paese, nel prendere decisioni che ricadono su migliaia di ragazzi, tira dritto per la sua strada e non ascolta nessuno", commenta in una nota la Flc. Che attacca: “Il dialogo con le organizzazioni sindacali avrebbe permesso di affrontare con ponderazione un tema che al momento riveste elementi di forte problematicità, legati soprattutto alla sicurezza e alla salvaguardia della salute di studenti, lavoratori e dell'intera comunità. La ministra valuti con attenzione e soprattutto, non faccia sempre a meno del confronto”.