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Nubi all’orizzonte, un orizzonte che si tocca con mano. Lo sappiamo bene, lo viviamo tutti, i nostri studenti più che mai. Le classi chiudono e riaprono, le quarantene sono all’ordine del giorno, per casi più o meno diretti. Nella stragrande maggioranza non sono gli studenti a essere contagiati, ma componenti delle loro famiglie. Una situazione che sta svuotando le aule comunque, perché anche molte famiglie non colpite dal virus, se possono, preferiscono tenere i propri figli a casa. Difficile non comprenderli.
Ci si trova così a fare i conti con una realtà sempre più complessa, nella quale dirigenti scolastici e insegnanti devono svolgere un ruolo che va ben oltre la loro qualifica, sostituendosi di fatto anche alla presenza delle Asl, da qualche settimana dissoltesi nel nulla, travolte dagli eventi, irrintracciabili seppure dovrebbero esser loro a tracciare, a contattare chi è tenuto precauzionalmente a casa, fissando un appuntamento per il tampone. L’alternativa è allungare la quarantena da dieci giorni a due settimane, trovare un medico che si assuma la responsabilità di scrivere un certificato, e provare a ricominciare.
In queste condizioni, si dirà, non si può far altro che tornare alla didattica a distanza, come d’altronde si sta già verificando per larghissima parte della secondaria di secondo grado, le scuole superiori. Una scelta che si può capire, se l’obiettivo deve essere quello di svuotare i mezzi di trasporto, utilizzati soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 19 anni per raggiungere i rispettivi istituti. Ma cerchiamo di escludere dalla dad almeno la secondaria di primo grado, e con essa anche la primaria.
Non prendo come riferimento la prima e la terza in cui insegno, in una periferia della capitale dove la quasi totalità degli scolari raggiunge il nostro edificio a piedi o mezzo privato, oltre lo scuolabus. Credo però che sino alla terza media siano percentualmente pochi i fruitori di mezzi pubblici per arrivare al cancello della propria scuola.
E allora chiediamo un altro sforzo alle famiglie accompagnandoli in macchina, allo stesso tempo potenziando le navette-scuolabus. In questo modo proveremmo a mantenere viva la didattica in presenza, per consentire non soltanto di seguire adeguatamente gli alunni che dovranno sostenere l’esame di fine anno, quanto per continuare a costruire nel corso del triennio un metodo di studio, tra i pochi strumenti in grado davvero di aiutare ogni alunno nel futuro scolastico e professionale che lo attende.
La didattica a distanza, seppur calibrata e migliorata in questi forzati mesi di esperienza, non potrà mai sostituire il contatto diretto, la spiegazione in aula, l’elaborazione di un compito preparato insieme, gli errori grammaticali o matematici corretti in tempo reale, l’interrogazione alla cattedra, la possibilità di digressioni dettate dal momento, da una frase improvvisa, da un’associazione di pensiero, o un collegamento da una materia all’altra, una lezione interdisciplinare con un altro prof, la creazione di gruppi laboratoriali; senza contare il valore costituito dal vissuto di ogni giorno, l’opportunità di condividere opinioni, timori, di scambiare sguardi e sorrisi, seppur nascosti dietro l’immancabile orpello della mascherina. La sensazione di sentirsi uniti pur rimanendo distanti, mentre ci sentiamo fragili e vulnerabili.
Proviamoci, finché si può.