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A raccontarla come è andata, la vicenda del disegno di legge Salva Milano, sembra un brutto pasticcio all’italiana. Partiamo dall’inizio. La procura ha aperto un’indagine per irregolarità edilizie nella costruzione di una serie di grattacieli nella città meneghina: sarebbero stati autorizzati non attraverso i classici e obbligatori permessi, ma con pratiche edilizie semplificate, senza piani urbanistici attuativi e senza il pagamento di adeguati oneri di urbanizzazione, attrezzature, verde, parcheggi, scuole, e così via.
Da palazzine a grattacieli
L’ipotesi dei giudici inquirenti si basa sul fatto che i fabbricati preesistenti erano di ridotte dimensioni e che sono stati sostituiti da grattacieli di molti piani, con un significativo incremento dei volumi. Ma che gli atti usati per farlo sono stati quelli previsti per le semplici ristrutturazioni edilizie.
Sanatoria non condivisibile
Che cosa è successo dopo? Per mettere una pezza a questo scandalo, il legislatore ha trovato una soluzione peggiore del problema. “La Cgil si era già espressa con un giudizio profondamente negativo sul disegno di legge approvato alla Camera, di fatto una sanatoria non condivisibile – afferma Daniela Barbaresi, segretaria confederale del sindacato di corso d’Italia -. Il testo ora in discussione al Senato, però, ha caratteri ancora più preoccupanti perché è destinato ad avere effetti dirompenti e irreversibili su tutto il territorio nazionale. È necessario un profondo e radicale cambiamento dell’impianto della normativa in discussione”.
Facilitare, anche troppo
Se da un lato si è provato a trasformare il ddl in una sanatoria in grado di risolvere la vicenda Milano, dall’altro si vorrebbe tradurlo in una interpretazione cosiddetta “autentica” di una legge del 1942, che finora è stata interpretata, appunto, in maniera diversa. L’obiettivo? Facilitare le ristrutturazioni edilizie, anche quando ristrutturazioni non sono.
“L’eliminazione della previsione di un riordino complessivo della materia – spiega Barbaresi -, anche se avrebbe verosimilmente richiesto tempi più lunghi di sei mesi, e la proposta di un’interpretazione autentica della norma su alcuni punti, pongono diversi problemi. Inoltre, il ricorso a norme che, partendo da questioni specifiche e settoriali, assumono pericolosamente dimensione nazionale, con misure caratterizzate da incentivi, bonus, premialità, orienta il mercato ma sicuramente non genera rigenerazione urbana”.
Effetti gravi e irreversibili
I rischi sono facili da intuire. Innanzitutto approvare una norma che parte da problemi specifici (caso Milano) per diventare una legge nazionale, quindi valida per tutto e tutti, potrebbe avere effetti gravi e irreversibili, che gli esperti del settore hanno già evidenziato.
Poi considerare semplici ristrutturazioni interventi che di fatto non lo sono, come grattacieli al posto di palazzine, apre la porta a opere sostanziali nelle città, capaci di provocare forti impatti, ma autorizzate con una “Scia”, una procedura semplificata. Inoltre, non ci sarebbe bisogno dei piani attuativi, senza i quali i costruttori non sono tenuti al pagamento degli oneri di urbanizzazione, un grosso vantaggio economico per loro ma non per Comuni e cittadini.
Bisogni delle comunità al centro
“In questo modo non si risponde alle urgenze delle città - precisa la sindacalista - dove le trasformazioni devono guardare ai bisogni delle comunità e considerare componenti di intervento a carattere sociale, oltre alla parte edilizia: la fornitura di servizi nei quartieri che ne sono privi, gli aspetti ambientali anche in relazione agli impatti determinati dalla crisi climatica, tutti elementi che hanno conseguenze sulle persone in termini di salute e benessere, e sul territorio”.
E questo è un altro punto fondamentale. Quando si parla di città e di sviluppo delle città non si può considerare solo l’aspetto edilizio: rigenerare non vuol dire solo concedere la costruzione di due piani in più, aumentare le volumetrie, o condonare questo o quello. Rigenerare significa pensare e progettare considerando tutti gli ambiti: i servizi, il verde, l’ambiente, la socialità e il sociale. Il disegno di legge in discussione tutto questo non lo prende in esame e non lo norma, anzi.
Rigenerazione urbana
“Bisogna rispondere alle esigenze di rigenerazione urbana, cui devono essere inseriti gli interventi sulla città esistente, e non opporsi tout court alla densificazione urbana – aggiunge Daniela Barbaresi -. Occorre evitare carichi urbanistici non sostenibili, peraltro senza un adeguato corrispettivo economico che assicuri anche la dotazione di servizi, in una fase caratterizzata da forti tagli agli enti locali. E riaffermare con nettezza la necessità di un governo pubblico delle trasformazioni urbane, contrastando un mercato libero senza regole”.
Offerta di servizi
La norma restringe anche il ruolo regolatorio degli enti locali, con il rischio di una drastica riduzione dell’offerta di servizi, compreso quello abitativo in termini di edilizia sociale per le fasce di popolazione meno abbiente. Ed elimina anche la possibilità di valutazione della cittadinanza, che nei percorsi di pianificazione può portare osservazioni nell’interesse collettivo di chi abita la città.
“Questo disegno di legge è profondamente sbagliato – conclude la segretaria Cgil -. Chiediamo che sia modificato in modo sostanziale, con un radicale cambiamento del suo impianto. Va ribadita la necessità e l’urgenza di una normativa di riordino complessivo della disciplina di settore, urbanistica ed edilizia, e di un ricollocare i temi nei giusti corpi normativi, evitando continue sovrapposizioni che non agevolano organicità e razionalizzazione”.