Non voglio fare l’avvocato d’ufficio di Landini e nemmeno il saccente prof d’italiano, faccio semplicemente il giornalista quale sono, ma “rivolta sociale” è chiaramente un’iperbole lessicale. Credo che nessuno con un minimo di sale in zucca – perfino il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Foti che si è tanto scandalizzato – pensi davvero che il segretario generale della Cgil abbia l’intenzione bellicosa e rivoltosa di indossare il gilet giallo e assaltare la Bastiglia. E nemmeno di aizzare la folla contro Capitol Hill.

Anzi ricordo agli smemorati, di ieri e di oggi, che è la sede della Cgil ad essere stata assaltata dai fascisti tre anni fa. Da una matrice ancora sconosciuta all’attuale presidente del consiglio e alla sua cerchia. Quindi chi pensa che le parole di Landini istighino al disordine pubblico è in malafede oppure lo fa in modo strumentale. La verità è che siamo al solito festival dell’ipocrisia. Perché è quantomeno curioso che la critica  provenga dalla stessa parte politica che fa dello scontro verbale e del linguaggio duro e puro un marchio di fabbrica.

Fatemi capire: non vi scandalizzate se Donald Trump dichiara pubblicamente che vorrebbe avere al suo fianco i generali di Hitler, e gridate allo scandalo se un leader sindacale rompe le catene facendo il proprio mestiere? E il mestiere di un sindacalista, degno di questo nome, è quello di rappresentare i bisogni e migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle persone. E di smascherare le menzogne del potere. La lista è lunga e alquanto indecorosa: dal pil fermo allo zero virgola al boom della precarietà, dalla povertà ai massimi livelli ai tagli alla sanità pubblica, dalle folli spese militari ai salari da fame.

Mi sembrano tutti ottimi motivi per ribellarsi e lanciare una vera rivolta sociale nel Paese che, tradotto nel Landini-pensiero, equivale semplicemente a mettere in campo tutti gli strumenti democratici a disposizione del sindacato: piazze, scioperi, manifestazioni, presidi, contrattazione, fino al referendum.

Non vedo nessuna istigazione alla violenza bensì una grande istigazione alla partecipazione. In un Paese anestetizzato, sfiduciato, scoraggiato, rassegnato, assuefatto alla marginalità, è ossigeno puro se qualcuno alimenta il sacro fuoco della lotta. Sana, democratica, propositiva. Per scardinare lo storytelling governativo che ci vuole sudditi e non cittadini. Che ci impone doveri togliendoci diritti.

Per dirla alla Martin Luther King “una rivolta è in fondo il linguaggio di chi non viene ascoltato”. Ecco, è ora di farci sentire.