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Su Collettiva due testimonianze di persone colpita dall’alluvione. Un anno dopo resta il ricordo scioccante di quelle ore e l’amaro in bocca per essere stati lasciati soli di fronte alle difficoltà.
Loretta Poggi, Forlì: “Disagio psicologico, problemi finanziari e burocrazia”
“La mia casa è in un quartiere di Forlì nato nel 1925 a poche centinaia di metri dal fiume Montone. È una di quelle case a schiera di una volta, indipendente ma attaccata a quella del vicino”. A parlare è Loretta Poggi, coordinatrice del piccolo quartiere forlivese di San Benedetto.
“Il 16 maggio di un anno fa è arrivato il disastro del tutto inaspettatamente. Io non avevo, come coordinatrice di quartiere, alcuna informazione specifica dall’assessore competente, se non che quel giorno le scuole e gli impianti sportivi sarebbero rimasti chiusi per un forte allarme meteo nel quale si menzionavano probabili esondazioni. Alle 6 di sera da casa mia vedo arrivare un po’ d’acqua dalla direzione del fiume. Chiamo la polizia municipale che mi tranquillizza, assicurandomi che la mia zona non è a rischio. Solo in seguito mi hanno detto che il sindaco aveva pubblicato allarmi su Facebook. Ma era un martedì, giornata lavorativa, alle 6 del pomeriggio: l’allarme si concentrava su un’altra zona di Forlì. Ci dissero solo di salire al piano superiore, nonostante non tutti lo avessero”.
“All’ora di cena, erano le 8:05, è arrivata l’ondata e non si è più fermata. In un quarto d’ora al piano terra di casa mia c’era un metro e 20 d’acqua. Rapidissima. Non abbiamo avuto il tempo materiale di prendere niente. Mia figlia che abita alla casa accanto è anche rimasta inizialmente bloccata. Siamo saliti al primo piano, mia figlia, mio padre di 94 anni che vive con me e io e lì siamo rimasti per due giorni e mezzo, senza corrente e con i cellulari scarichi”.
“Sono stata contattata dal Comune dopo due giorni e, in qualità di coordinatrice di quartiere, mi è stato chiesto di stare in strada sotto un ombrello a indirizzare i volontari che arrivavano. Così io, alta un metro e 55, a 66 anni, con le gambe a mollo fino al ginocchio, sono rimasta in strada a coordinare le prime squadre, mentre dell’amministrazione comunale non si è visto nessuno, è venuto solo un operatore verde, ma eravamo totalmente sprovvisti di badili, attrezzi e ape car. Non avevamo niente”.
“Dopo una settimana sono iniziati ad arrivare aiuti, pasti, generi alimentari. Ma erano aiuti di privati, di associazioni, di ristoratori: le istituzioni non hanno dato una risposta veloce. I vigili urbani che avrebbero dovuto indirizzare i volontari provenienti da mezza Italia che non conoscevano la città, non c’erano e quando organizzarono due posti di blocco finirono per bloccare anche quelli che ci portavano i pasti. Io ho continuato a vivere al primo piano fino a fine agosto, mentre mia figlia ha trovato un’altra sistemazione. Nel frattempo, con le nostre risorse, abbiamo fatto i lavori e reso di nuovo abitabili le case”.
“Il vero problema – ci racconta Loretta Poggi – è che per ottenere i rimborsi dovevi presentare tutte le fatture o gli scontrini parlanti e il pagamento doveva essere tracciato. Queste regole però ce le hanno comunicate a luglio e parecchie persone, pur di rimediare nell’immediato, si sono mosse senza conservare gli scontrini o le fatture. Tutte spese che sono andate. Insomma, la burocrazia è intervenuta tardi, male e in modo troppo pesante. Ci chiedevano le foto di com’era la casa prima dell’alluvione, tanto per fare un esempio. E poi ci ha penalizzato il fatto che i mobili e gli elettrodomestici non siano stati rimborsati”.
“Questo ha generato una forte rassegnazione nelle persone: di fronte alla marea di adempimenti richiesti e all’incertezza hanno finito per arrendersi e fare da sole. Ma per molti è stato un vero dramma. Ho degli amici che vivono ancora fuori casa perché hanno subito danni nell’ordine anche di 200mila euro. C’è un problema sociale non indifferente. La gente è provatissima, in tanti chiedono continuamente supporto psicologica. Se dovessi fare un quadro attuale direi disagio psicologico, problemi finanziari e burocrazia. Noi continuiamo a protestare. Diserteremo la commemorazione del Comune che ha speso 50mila euro per fare una statua e venerdì, quando il Giro d’Italia passerà nelle strade del nostro quartiere, metteremo sui balconi le lenzuola con il messaggio che ci accompagna da un anno, ‘Alluvionati dimenticati’”.
Sara Verlicchi, Massa Lombarda (Ravenna): “Nel dramma collettivo sono stata fortunata. Conosco molte persone senza lavoro e senza ristori”
“Sono rientrata in casa mia il 23 ottobre – ci racconta Sara Verlicchi, lavoratrice residente a Massa Lombarda, provincia di Ravenna –. Mi sono trovata una sistemazione alternativa in quei mesi. Ma ogni giorno venivo qui a guardare casa mia, arieggiavo i locali, cercavo di pulire per quel che potevo. Devo ringraziare i miei colleghi che mi hanno sempre aiutato. Sono riuscita a rimetterla a posto dopo quel terribile e indelebile 17 maggio e ho anche ricevuto quanto mi spettava. Ripristinare la mia casa è stata una spesa notevole, ho dovuto rifare l’impianto elettrico, ma mi ritengo fortunata. In tanti hanno sofferto danni ben più gravi. Alla fine, nella sfortuna di averla subita come tutti qui, sono riuscita a ritornare alla normalità”.
“Il ricordo è struggente, l’alluvione l’ho vissuta in pieno. Ero a casa quel pomeriggio. Vedevo l’acqua che iniziava a entrare, entrare, entrare, il frigo ribaltato, la cucina e il divano sommersi. Ho avuto la lucidità di prendere e portare al piano di sopra quel che sono riuscita ad afferrare”.
“Sono stata fortunata anche perché io ho sempre lavorato. Nella mia azienda abbiamo anche ospitato dei colleghi di un’altra azienda dove non si poteva lavorare perché sott’acqua. Le persone hanno fatto un po’ di turnover”.
“Ci sono persone – ci ha detto Sara Verlicchi – cui l’alluvione ha portato via tutto. Spero che tutto questo dolore abbia insegnato qualcosa, che non capiti più, che i fiumi vengano puliti, che ci sia manutenzione del territorio”.