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Siamo esseri strani noi: invochiamo la ripresa per riprenderci le nostre libertà come prima, pur sapendo che come prima non può funzionare. Il “come prima” si fonda infatti su un sistema squilibrato, incapace di generare distribuzione della ricchezza e la sostenibilità del pianeta, condizioni, che dovrebbero essere alla base di ogni modello di società e delle scelte dei governi, a tutti i livelli, dal locale al globale.
Saremo in grado di sganciare la crescita economica come unico mantra che indica la qualità di vita e di benessere dell’umanità? Sapremo valutare in modo critico e responsabile le conseguenze di un modello di sviluppo e di crescita economica senza rispetto dei diritti umani fondamentali, come sono salute, educazione, lavoro, libertà, giustizia, uguaglianza che produce sfruttamento, discriminazioni, vecchie e nuove forme di povertà? Sapremo smettere di fare un uso indiscriminato delle risorse energetiche non rinnovabili, con emissioni di gas tossici, disboscamento e desertificazione che stanno distruggendo il pianeta?
Sapremo rinunciare ai profitti e ai posti di lavoro della produzione e commercio di armi, convertendo investimenti, imprese, professionalità, tecnologie in nuovi beni, prodotti, servizi e tecnologie per la comunità, per la messa in sicurezza del territorio, uscendo così dall’industria e dal bisogno di generare nuovi nemici e nuove guerre? Sapremo dire basta alle armi nucleari, eliminandole dal nostro paese e dal resto del mondo?
Sapremo dare centralità all’educazione ed alla scuola investendo le risorse necessarie nella formazione, nelle infrastrutture e nelle tecnologie per recuperare il deficit formativo accumulato in decenni di tagli al nostro sistema scolastico e della ricerca? Sapremo restituire al nostro sistema sanitario pubblico la dimensione territoriale, la medicina di base, il valore del medico di famiglia, la medicina preventiva, la cura degli anziani, investimenti e riconoscimento del valore e della messa in sicurezza e di stabilità occupazionale per tutto il personale sanitario?
Sapremo rimettere l’economia e la finanza al servizio dell’umanità, tassando le transazioni finanziarie, eliminando i paradisi fiscali, devolvendo lo 0,7% della ricchezza mondiale per sconfiggere la povertà? Sapremo prevenire e fermare le guerre, riconoscere i diritti dei popoli che ancora oggi vivono senza un proprio stato, sotto occupazione o sotto regimi che negano libertà e diritti umani?
Sapremo rinunciare a fare accordi, affari, investimenti con questi governi e regimi che sequestrano, torturano e uccidono chiunque ritengano scomodo per i loro fini, oppure quelli che violano il diritto internazionale, i diritti umani e la nostra Costituzione? Sapremo sconfiggere il lavoro nero, l’evasione e l’elusione fiscale, la corruzione e la criminalità organizzata, vere e proprie piaghe che ci stanno succhiando linfa e risorse fondamentali per la costruzione di una società più giusta?
Sapremo accogliere, eliminare muri e frontiere, per la libera circolazione delle persone, affinché migrare sia una libera scelta e non frutto di disperazione, sofferenze, umiliazioni, ricatti o guerre? Sapremo cedere sovranità per portare a termine il progetto politico europeo e rilanciare il multilateralismo e riformare le Nazioni Unite per il buon governo dell’umanità e del pianeta?
Sapremo modificare il nostro modo di vivere, pensando un poco meno come Io e un poco più come Noi? Se non sapremo affrontare queste sfide, continueremo con la speranza che il conto ci venga recapitato il più tardi possibile, sotto forma di povertà, malattia, guerra, solitudine, come naufraghi portati inesorabilmente a lottare gli uni contro gli altri. Ma sarà solo una questione di tempo perché il modello di sviluppo, così com’è impostato, non regge, e le sciagure, purtroppo, arriveranno come degli tsunami, sotto forma di pandemie sanitarie o di improvvisi mutamenti climatici o di precarizzazione e perdita progressiva dei diritti del lavoro o delle libertà o della stessa democrazia.
Quindi è urgente ripartire, sconfiggere il virus pandemico che ha prodotto tante morti e tante sofferenze ed aprire gli occhi, orecchie e bocca sulla realtà che abbiamo di fronte. L’occasione è di portata storica, il mondo intero si trova a condividere lo stesso problema, la potenzialità e la portata delle prossime scelte possono avere un impatto mondiale. Quanto vissuto ha messo a fuoco due aspetti: la nostra fragilità, le debolezze e l’assurdità del sistema, e l’importanza della solidarietà, della responsabilità individuale e collettiva, del valore del lavoro che non possono essere sostituiti o ridotti a componenti secondari o meri strumenti o pratiche volontaristiche o buoniste della nostra società.
Dovremo impegnarci tutte e tutti quanti per costruire un nuovo paradigma di sviluppo e di relazioni tra stati e comunità, ripartendo dal principio di universalità dei diritti umani, praticando la cittadinanza attiva, l’impegno sociale e civile, la tutela del lavoro sicuro, l’uguaglianza, la legalità, la nonviolenza, il rispetto per l’ambiente, l’accoglienza e la solidarietà. Riannodando il legame tra società civile e istituzioni, esigendo coerenza e spirito di servizio a chi sarà eletto, a chi assumerà incarichi di amministrazione pubblica e di tutela delle bene comune e delle leggi.
Visto che il cambiamento non lo si improvvisa, non lo si può solo evocare e non avviene per folgorazione ma va costruito pazientemente, con costanza e determinazione, dialogo e ricerca del consenso, assunzione di responsabilità, dovremo essere in grado di coinvolgere tutte le componenti della società; cittadini, corpi intermedi, partiti, sindacati, associazioni di categoria, terzo settore, amministrazioni locali, governo e parlamento. Nessuno si può sentire escluso o chiamarsi fuori.
Occorre impegnarsi negli spazi domestici, nei luoghi di lavoro, nel sociale per favorire l’incontro e il confronto tra le tante realtà, culture, sensibilità esistenti, promuovere l’unità nella diversità, per ripartire bene, pensando al futuro ed alla necessità di costruire un modello di sviluppo sostenibile per una società più equa, più giusta. Dovremo essere capaci di evitare il cammino delle divisioni e delle differenze, triste strada ben nota a tante nobili iniziative, durate una sola stagione o relegate a un mero ruolo di testimonianza.
Per fortuna, nel nostro Paese, come in Europa e nel mondo, esistono tante esperienze, reti, coordinamenti, organizzazioni che hanno già maturato riflessioni e prodotto proposte per un modello di società fondata sui principi di giustizia sociale, equità, sostenibilità. Non ripartiamo da zero. A noi spetta il compito di unire i tanti fili che già sono qui, disponibili, riconoscerli, valorizzarli, metterli insieme in modo armonico per una buona trama e tessere la tela. E, come diceva un vecchio partigiano ad un compagno che scuoteva la testa di fronte al dramma del fascismo, ciò che viviamo si è reso possibile per quello che abbiamo e non abbiamo fatto.
Sergio Bassoli fa parte dell’area Politiche internazionali Cgil