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Mentre sulle prime pagine dei giornali campeggiano le polemiche sul decreto che fissa le regole per la scarcerazione dei boss mafiosi, e mentre nelle carceri italiane si continua a morire di coronavirus, ci sono delle strutture esterne al sistema penitenziario che sembrano aver retto molto meglio all’onda d’urto della pandemia. Sono le Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, istituite dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e in cui dal 2014 vengono curati gli autori di reato affetti da disturbi mentali e ritenuti socialmente pericolosi.
L’osservatorio Stop-Opg ha pubblicato proprio ieri (10 maggio) un rapporto che fotografa gli effetti dell’emergenza sanitaria nelle 30 Rems sparse per tutto il territorio nazionale. Effetti non eccessivamente rovinosi, a quanto pare, visto che l’infezione negli utenti è stata limitata a una sola struttura, in cui si sono avuti due casi, mentre in 5 altre sedi si è registrato esclusivamente il contagio di una manciata operatori.
Cifre molto incoraggianti, sopratutto se confrontate con quelle dei 160 medici morti in questi due mesi, dello scempio nelle Rsa, o dei numeri forniti dal Garante nazionale dei privati di libertà sugli istituti penitenziari, nei quali il primo maggio erano già stati registrati 159 casi di covid tra i detenuti, e 215 tra il personale penitenziario. Ma i primi, secondo il garante, sono ancora in crescita, mentre i morti sono stati almeno tre: il primo a Bologna, un altro poco dopo a Voghera, e un terzo a Milano. Alle persone decedute per il coronavirus, poi, andrebbero aggiunte quelle morte nelle proteste di inizio marzo in diverse carceri italiane, per un totale complessivo di 12.
Le Rems, invece, paiono tutto un altro mondo. A Stop-Opg risulta che siano state attuate ovunque le misure di prevenzione indicate dalle circolari ministeriali, compreso il distanziamento sociale. Sono state ridotte attività esterne e visite, ma aumentate quelle interne, le telefonate e le video-chiamate. Il clima e la collaborazione risultano poi “piuttosto buoni”, con un basso numero di “eventi avversi, agiti auto ed eterolesivi”, e senza “contenzione fisica” o “azione di protesta”.
“Sono le dimensioni a fare la differenza - spiega Stefano Cecconi, responsabile Sanità della Cgil nazionale -. Le strutture più piccole hanno permesso di contenere il contagio tra i pazienti, facendoli vivere in camere spaziose, in alcuni casi singole. E poi il personale che si dedica a queste persone è esclusivamente sanitario, quindi molto più adeguato a gestire questa situazione di crisi. Le piccole dimensioni e l’organizzazione interna hanno aiutato moltissimo”.
Non è quindi un caso se uno de pochi questionari che non è ancora arrivato all’osservatorio sia proprio quello del sistema Rems di Castiglione delle Stiviere, la struttura più grande, che ospita oltre 120 pazienti in edifici che facevano parte dell’area dell’ex Opg. Nessuno, ad oggi, sa cosa sia successo lì dentro in questi due mesi, e per l’osservatorio “merita uno specifico approfondimento”.
Come spesso è accaduto in questi due mesi di pandemia, poi, la crisi sanitaria sta mettendo in risalto i nervi scoperti tanto del sistema penitenziario italiano quanto di quello sanitario. Dal rapporto, per Stop-Opg emergono “interessanti riflessioni sul futuro del modello delle Rems”, che “devono restare strutture di piccole dimensioni”, mentre appaiono ora “indispensabili ampi spazi esterni e accesso a parchi e spazi cittadini”. In futuro, bisognerà poi “affiancare alle Rems altre soluzioni abitative”, in un sistema che potrebbe affiancarsi o persino sostituire questi modelli residenziali”.
“Non tutti erano attrezzati – continua Cecconi – ma in questo periodo è emersa l’importanza di spazi esterni, così come l’esigenza di spingere molto sull’adozione di misure di sicurezza non detentive ancora più piccole o a domicilio, che assicurino la tutela della salute e la sicurezza, che è la scommessa vinta con la chiusura degli Opg”. “Le grandi concentrazioni di persone nelle case di riposo, nelle carceri e in tutte le istituzioni totali moltiplicano i rischi – conclude -. Sono gli stessi operatori dei Rems a dire che se si ci si fosse potuti appoggiare ad alloggi esterni più piccoli, i risultati avrebbero potuto essere ancora migliori, sia sul fronte del contenimento del contagio sia su quello dell’attività terapeutico-riabilitativa”.
Le Rems, quindi, restano anche oggi una soluzione da adottare “in extrema ratio”, come ha confermato sia il Consiglio superiore della magistratura sia la Corte costituzionale. La strada da percorrere è invece quella delle abitazioni singole. La richiesta dell’osservatorio Stop-Opg, in ogni caso, è sempre la stessa: “un accordo quadro nazionale Stato-Regioni che orienti i protocolli tra regione, Asl, magistrature e la riattivazione in sede di Ministero della salute dell’organismo di monitoraggio nazionale sul processo di superamento degli Opg e sulle Rems.”