Sospendere il Codice degli appalti per il periodo necessario a realizzare gli investimenti del Recovery Plan. L’idea è arrivata la scorsa settimana da Roberto Rustichelli, presidente dell’Autorità Antitrust. Un'indicazione ufficiale, tra l'altro, contenuta nella segnalazione annuale inviata al governo con le proposte per la legge sulla concorrenza. Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil, cosa sta succedendo?

Sta succedendo una cosa semplice: tutti, noi per primi, vogliamo spendere presto e bene le risorse nazionali del programma “Italia Veloce”, quelle comunitarie del nuovo ciclo di programmazione e le risorse del Recovery Fund, attraverso il Piano nazionale per la ripresa e resilienza. L'obiettivo è creare lavoro e soprattutto aumentare la competitività del Paese, riducendo divari territoriali e investendo su “ferro e acqua”, anche per centrare gli obiettivi di sostenibilità internazionali che ci siamo dati. Però, le forze del lavoro, una parte dell’imprenditoria più matura e lo stesso Parlamento, con la legge 120/2020, ritengono che si possano tenere insieme semplificazione e tutela del lavoro, qualità dei materiali, crescita dimensionale delle aziende e qualificazione degli indotti applicando il Codice degli appalti e, in via del tutto eccezionale, ricorrendo ad una deroga mirata su alcuni istituti connessi agli iter autorizzativi e ai pareri di conformità. Altri invece teorizzano che sia l’assenza di regole il fattore di accelerazione del mercato e quindi della stessa concorrenza. Rustichelli riscopre il furore neo-liberista che ci ha portato nel baratro in cui siamo e sembra non cogliere la principale lezione che ci ha dato la stessa Pandemia. Siamo in crisi, e lo eravamo anche prima, per via di fragilità nel sistema imprenditoriale, per lo scarso investimento nelle pubbliche amministrazioni, per una propensione alla concorrenza basata esclusivamente su meno sicurezza, meno salario, più precarietà. Sarà un caso che il primo a “saltare” sopra le dichiarazioni di Rustichelli sia stato Salvini, l’autore di quel decreto che noi abbiamo ribattezzato “sblocca porcate” (il decreto “sblocca cantieri”, ndr)?

Perché allora si fatica ancora ad aprire i cantieri?

Il principale motivo per cui si fatica a cantierizzazione opere, grandi e piccole, si chiama troppe stazioni appaltanti, troppo poco qualificate, con 15 mila figure tecniche perse per colpa del blocco del turn-over. Non a caso il governo Draghi per prima cosa ha puntato sul rilancio del lavoro pubblico, su nuove assunzioni, su una reingegnerizzazione delle procedure. Anche se ora bisognai vederne la traduzione concreta. Lo stesso ministro Giovannini è consapevole che il tema non è tanto il Codice quanto permetterne, da un lato la sua concreta e tecnicamente corretta applicazione, e dall’altra, per particolari opere in ritardo, procedere ai commissari straordinari che, dopo la legge 120/2020, devono comunque rispettare diverse norme del codice, da quelle basate sul rispetto dei contratti di lavoro a tutta la normativa su subappalti, sicurezza, ecc. Commissari che, ricordiamo, sono “sottoposti” agli accordi sottoscritti dal governo l’11 dicembre 2020 con Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil.

Tecnicamente è una sciocchezza: oltre 100 norme delle direttive non sono auto-applicanti, ma necessitano di un intervento del legislatore nazionale. Sospendere il Codice vorrebbe dire creare solo caos, far aumentare i contenziosi amministrativi, che già sono troppi. Perché a quel punto dev'essere il giudice a dire ogni volta se chi ha vinto lo ha fatto legittimamente “in coerenza con lo spirito delle direttive”. Non a caso tutte le associazioni di impresa oggi parlano di interventi “chirurgici” sul Codice non certo la sua sospensione. Il Codice, ricordo per i più smemorati, fu il frutto di un lungo e positivo confronto con le forze sociali, con la Corte dei conti, il Consiglio di stato, l’Anac, e fu definito tra i testi più organici a livello comunitario. E poi permettimi di evidenziare un fatto di metodo e di merito che, dal dibattito e anche dalle stesse comunicazioni dell’Antitrust non emerge mai…

Quale?

È mai possibile che ogni volta che si fa una legge per provare a superare qualche “collo di bottiglia”, qualche imprecisione del Codice degli appalti, non si aspetta di vederne i frutti e già ricomincia il balletto su nuovi interventi normativi? La legge di semplificazione, la 120/2020, ha cominciato a operare da settembre, da appena 6 mesi, introducendo norme di semplificazione per gli appalti di basso importo, per gli appalti degli enti locali sul modello spagnolo, sul danno erariale e la responsabilità dei dirigenti. Possiamo intanto vedere se sta funzionando prima dell’ennesimo intervento normativo che rischia solo di bloccare nuovamente le stazioni appaltanti, i programmi industriali delle imprese, la pianificazione, ecc.? Anche perché i primi dati della Camera dei deputati, del Cresme e dell'Ance ci dicono che c'è stata, nonostante la pandemia, un’ulteriore accelerazione sia sul lato della progettazione che dell’esecuzione, che rafforza un trend già visibile tra dicembre 2019 e febbraio 2020, con aumenti in termini percentuali a due cifre. Gli stessi accordi di programma Anas e Rfi, anche se con ritardi e limiti, stanno cominciando ora a mettere a terra decine di miliardi di cantieri aperti o che si stanno per aprire. Questo vizio italico di parlare di questo o quell’argomento senza mai fare bilanci o confrontarsi con i numeri oltre che sbagliato è anche molto fastidioso.

A cosa porterebbe una riforma complessiva del Codice? L'Antitrust la promuove per semplificare le procedure e lasciare maggiore spazio alla discrezionalità delle stazioni appaltanti. Quali rischi si corrono?

Intendiamoci: ogni testo normativo, anche quello più complesso, è migliorabile. Una riforma ampia del Codice, però, non avrebbe senso. Anzi sarebbe dannosa e, a questo punto, ci farebbe perdere sicuramente un anno e più solo per “ricalibrare” la macchina. Vogliamo intervenire sui cosiddetti “tempi di attraversamento”? Vogliamo introdurre maggiore “silenzio-assenso”? Vogliamo semplificare la valutazione di impatto ambientale o le procedure delle Conferenze di servizio con forme di sussidiarietà istituzionale? Siamo pronti a discuterne. Ma questo non c'entra nulla con tornare al massimo ribasso, al subappalto libero, al venire meno di comunicare prima se si vuole subappaltare e a chi, con il rispetto dei contratti, con l’esclusione dei costi della sicurezza dai ribassi, dalla responsabilità in solido, dall’obbligo di gara aperta e pubblicazione dei bandi, ecc. Nessuna stazione appaltante, in un sistema giuridico basato sulla possibilità di ricorso amministrativo, si avventurerebbe sul terreno del “fai da te”. Anche perché in Italia alcune specificità rispetto a Germania e Francia sono oggettive: dalla dimensione di impresa (da noi il 90% delle aziende edili fattura meno di 500 mila euro ed ha una media di 1,6 dipendenti, contro il 4,8 di Francia e il 7,5 della Germania) alla presenza della criminalità organizzata.

Allora perché il Codice degli appalti viene sempre messo in discussione?

Perché da un lato c'è un malessere anche legittimo, basato sull’esigenza di qualificare sempre meglio la spesa pubblica, e la fame di lavoro che nel nostro settore c'è stata per dieci anni, con oltre 800 mila posti di lavoro persi. Qui il tema è se riusciremo ad essere un Paese che, per fare le cose, si attrezza per farle bene, premiando qualità, trasparenza, ecc. D'altro canto c’è un non detto di fondo: gli appalti pubblici devono o non devono essere uno strumento di politica industriale? La domanda pubblica, i soldi di tutti, devono o non devono essere messi al servizio anche di un modello di sviluppo più giusto e sostenibile? Tradotto: gli appalti pubblici devono poter essere una delle principali leve per qualificare il settore sia dei lavori che dei servizi, devono favorire la crescita delle imprese, degli indotti e dei fornitori, devono premiare la sostenibilità e l’innovazione, devono soprattutto creare più occupazione, più professionalizzata e più sicura. Come del resto ci chiede l’Europa stessa, vincolando l’enorme e straordinaria quantità di risorse che ci mette a disposizione non solo al rispetto dei tempi, ma anche e soprattutto all’aumento dei posti di lavoro, in particolare per giovani e donne. E torniamo allora agli accordi dell’11 dicembre sulle opere commissariate e del 22 gennaio su tutte le opere finanziate dal Recovery, in particolare per ora le opere della missione 3 del Pnrr che come Cgil chiediamo di estendere a tutto il piano. È dentro la cornice delle tutele del Codice degli appalti che, con quegli accordi, è maturato ed è sostenibile lo scambio sotteso: i lavoratori sono pronti a lavorare h24, sette giorni su sette, compresi i festivi, per consegnare prima le opere di cui il Paese ha bisogno. Ma in cambio c'è il divieto di ricorrere agli straordinari, riducendo gli orari di fatto e creando così, con la quarta e quinta squadra, più posti di lavoro. L’accordo comincia a dare i primi frutti: sta permettendo di ridurre i tempi di realizzazione delle opere e sta generando maggiore occupazione. Continuerei su questa strada, e non butterei al vento il tanto e positivo lavoro fatto in questi anni.