450 case verranno demolite per fare spazio ai cantieri del ponte sullo Stretto di Messina, 150 in Calabria, 300 in Sicilia. Altrettante famiglie dovranno lasciare le loro abitazioni e trovare un’altra sistemazione.
Qui da vent’anni
“Dove andremo proprio non lo sappiamo – ci racconta Manuela Scarcella, da sempre a Capo Peloro, la punta estrema nord orientale della Sicilia, il cui territorio fa parte del comune di Messina -. Perché saremo in tanti a essere espropriati e a doverci spostare. E le difficoltà saranno tante. Io vivo in una casa con la mia famiglia da vent’anni. Quello che è paradossale è che oggi, che non sono più giovanissima, mi dovrei sobbarcare un mutuo per acquistarne un’altra, cioè fare una cosa gravosa che mio padre mi ha dato la possibilità di non fare lasciandomi in eredità quella che ho. Che, attenzione, non è una villa: contrariamente a quanto si pensa e si dice, qui non ci sono villoni ma case normalissime di persone normalissime che le hanno costruite con il sacrificio e il lavoro quotidiano”.
La spada di Damocle
Gli espropriandi del ponte sullo Stretto combattono da vent’anni con questo spettro, una spada di Damocle che si ripropone ciclicamente e che mette sempre sotto scacco le famiglie. “Le nostre vite vengono calpestate, il nostro futuro diventa un punto interrogativo – prosegue Manuela -. Parlo anche a nome della mia città: Messina è destinata a morire perché sarà sventrata da 35 cantieri, che non sono sostenibili in un centro urbano che ha già una viabilità molto delicata e molto precaria”.
Mobilitazioni contro
Le mobilitazioni e le azioni contro la costruzione di un’opera giudicata da molti inutile, dannosa e troppo costosa, intanto proseguono. Un gruppo di eurodeputati dell’opposizione con un flashmob a Strasburgo ha chiesto alla Commissione europea di non concedere la deroga necessaria per aggirare i vincoli imposti alla costruzione in zone protette speciali, quali sono quelle che verrebbero coinvolte nella realizzazione dell’opera.
Qualche giorno prima il tribunale amministrativo del Lazio ha accolto il ricorso dei comuni di Reggio Calabria e Villa San Giovanni contro il benestare del ministero dell’Ambiente all’opera: potranno presentare nuovi documenti sui possibili impatti ambientali del ponte.
Alla Camera il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani e quello dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin hanno risposto a un’interrogazione che lamentava il mancato coinvolgimento di organismi terzi nella validazione del progetto, come l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e il Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Il legame con il territorio
“I problemi creati dalla costruzione del ponte sullo Stretto sono tanti, ma ce n’è uno in particolare che è molto grosso – afferma Mariella Valbruzzi, del Comitato No Ponte Capo Peloro -. Nel progetto attuale si scrive che è stato scelto quel luogo per erigere l’opera perché è poco abitato. Non si capisce quali posti hanno visto, che foto hanno preso. Lì è pieno di case e di famiglie che se vengono sfrattate non si sa bene dove potranno andare. Senza parlare della questione affettiva, del legame con il territorio. Torre Faro è un borgo marinaro, storico, della città, dove le persone vivono da generazioni. Quello che avverrebbe, sarebbe un vero sradicamento”.