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“Il Ponte sullo Stretto è un’opera inutile e dannosa, non è l'infrastruttura necessaria a rilanciare lo sviluppo della Sicilia, della Calabria e dello stesso Mezzogiorno”. A dirlo sono il segretario confederale Cgil Pino Gesmundo, e i segretari generali Cgil Calabria (Angelo Sposato) e Cgil Sicilia (Alfio Mannino): “Occorre un intervento dello Stato per costruire una programmazione mirata e coerente e disegnare un nuovo piano di sviluppo industriale”.
I dirigenti sindacali sottolineano che “il progetto lacunoso del Ponte, che ha come presupposto un'analisi costi-benefici irrealistica, comporterebbe gravi impatti ambientali, paesaggistici e naturalistici, determinati anche dall'enorme problematicità della gestione dei cantieri disseminati in tutta l'area, e che metteranno in crisi per anni le città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni”.
Vi è poi un ulteriore aspetto che lo rende “dannoso ancor prima di essere realizzato”, ossia “l'esecuzione di espropri di case, terreni, immobili di privati cittadini, investiti dai disagi e costretti a lasciare l'abitazione per andare non si sa dove e neppure con quale indennizzo”.
Per Gesmundo, Sposato e Mannino è “un grave errore considerare la realizzazione del Ponte l'elemento strategico della modernizzazione infrastrutturale del Mezzogiorno. Riteniamo, invece, prioritarie la realizzazione dell'alta velocità Salerno-Reggio Calabria, che rischia di fermarsi a Romagnano; il completamento dell'elettrificazione e messa in sicurezza della ferrovia jonica Sibari-Reggio Calabria; il miglioramento del sistema di mobilità dell'area centrale dello Stretto; il completamento della Messina-Catania-Palermo e il raddoppio della Messina-Catania-Siracusa che continuano a procedere a rilento”.
Indispensabile, inoltre, è poi “la messa in sicurezza del sistema autostradale siciliano e calabrese, portando a compimento la realizzazione dell'E90 (Ss 106), meglio conosciuta come la 'strada della morte'”.
Per gli esponenti sindacali è “essenziale riaprire una nuova stagione di programmazione per le due regioni, le cui potenzialità di sviluppo socio-economico sono frenate dall'involuzione delle politiche messe in atto dal governo nazionale e dai governi regionali, colpendo le popolazioni e indebolendo lo stesso sistema produttivo”.
Tra queste, “la centralizzazione delle Zes, lo smantellamento del reddito di cittadinanza, la revisione del Pnrr che definanzia molte opere strategiche, il blocco del Fondo di sviluppo e coesione e la sottrazione di 2.100 milioni alle due Regioni, lo svuotamento del Fondo perequativo infrastrutturale, tutto in una logica neocentralistica che annulla il ruolo della autonomie, soprattutto dei Comuni”.
I tre dirigenti evidenziano l’urgenza di “un piano industriale di sviluppo per le due regioni che incentivi la produzione di energia, con investimenti nelle rinnovabili e portando a compimento le bonifiche dei siti contaminati; una politica dei trasporti che privilegi il trasporto pubblico locale e regionale; interventi radicali che affrontino decisamente le problematicità inerenti il dissesto idrogeologico e l'endemico disservizio della rete idrica”.
Le ingenti risorse finanziarie disponibili tra Pnrr, Pnc, fondi strutturali europei e fondi nazionali vanno “spese nei tempi dovuti e in modo corretto e trasparente, sottraendole al pericolo di una gestione clientelare che possa aprire il varco a fenomeni corruttivi e di penetrazione delle mafie nel sistema degli appalti pubblici. Su tutte le questioni evidenziate è indispensabile esercitare un'attenzione continua che promuova un controllo sociale assieme alla capacità di mobilitazione e d'iniziativa del movimento sindacale”.