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Dal primo gennaio le aziende italiane dovranno dotarsi di una polizza contro le calamità naturali. Per i privati cittadini, le nostre case, invece, l’obbligo è di là da venire, almeno per ora. L’assicurazione contro i danni da fenomeni meteo estremi, che nel nostro Paese si stanno intensificando, la cosiddetta polizza clima, torna alla ribalta dopo le alluvioni che hanno colpito nei giorni scorsi Emilia Romagna e Marche.
E lo fa con le parole di Nello Musumeci, ministro della Protezione civile, primo firmatario di un testo di legge ad hoc in mano alla commissione Ambiente della Camera: “È finito il tempo in cui lo Stato poteva erogare risorse per tutti e per sempre”. Se c’è una catastrofe, il peso degli aiuti per la popolazione e gli oneri per la ricostruzione non possono gravare solo sui poteri pubblici, dice. Quindi, via alle assicurazioni private: così saremo tutti protetti.
378 eventi estremi nel 2023
Un modo per privatizzare il territorio dello Stato e i disastri che lo flagellano? “C’è qualcosa che non torna – afferma Rossella Muroni, ex deputata ed ex presidente di Legambiente e ora presidente di Nuove Ri-Generazioni –. A fronte di numeri spaventosi, ben 378 eventi estremi nel 2023, con un incremento del 22 per cento rispetto all’anno precedente, c’è un governo che vuole chiedere alle famiglie di assicurare le abitazioni e scaricare sul privato un costo collettivo. È lo stesso governo che mette in discussione il Green Deal, dicendo che bisogna rallentarlo. Lo stesso che ha fatto un piano di adattamento ai cambiamenti climatici ridicolo per le nostre città. Che nel piano energetico ha incluso il gas e che è tornato a parlare di nucleare. Si cerca di scaricare il peso sui cittadini, quasi colpevolizzandoli. L’istruzione, la sanità, e adesso il territorio: in questo modo viene meno l’idea stessa di Stato”.
Territorio pubblico, danni privati
Ancora Musumeci: “Si fa presto a parlare di nuova patrimoniale sulla casa, immagino già le polemiche quando sarà affrontato il tema della polizza sulla casa, ma serve un cambio culturale”. E il cambio culturale a cui fa riferimento il ministro è che il territorio è un bene pubblico, ma i danni che possono derivare dalla cattiva gestione, dalla mancata messa in sicurezza, manutenzione, prevenzione e adattamento, sono privati. Come i costi, che sono esorbitanti.
Per le inondazioni che a metà settembre hanno devastato l’Europa centrale e orientale, secondo una stima preliminare del broker Gallagher Re, il settore assicurativo dovrebbe sborsare una cifra compresa tra 2 e 3 miliardi di euro. Solo nel nostro Paese i danni assicurati nel 2023 hanno superato i 6 miliardi, facendo toccare un livello record.
Case poco coperte
Stando ai dati raccolti dall’Ania, l’associazione degli assicuratori, nei primi sei mesi del 2024 le perdite globali tra alluvioni, inondazioni, tempeste e terremoti hanno raggiunto 120 miliardi di dollari, quasi raddoppiando la media degli ultimi dieci anni. Il ricorso alle polizze assicurative rimane comunque ancora basso da noi: appena il 6 per cento delle case è coperta contro danni da calamità naturali, come alluvioni e terremoti.
Polizze a quali condizioni?
“Per le imprese bisognerebbe fare un discorso diverso – prosegue Muroni –: imporre l’assicurazione e contemporaneamente portarle alla delocalizzazione, procedendo territorio per territorio, quando si trovano in zone a rischio. Un ragionamento che però non vedo. Per le famiglie dicono che dovrebbe scattare l’assicurazione di massa, 120 euro ad abitazione. Ma dati precisi non ce ne sono. Parliamo di polizza obbligatoria, ma a quali condizioni? Cosa deve prevedere? Non si può lasciare il cittadino da solo nella giungla del mercato. E poi ribadisco: paghiamo già le tasse comunali, provinciali, regionali, statali, grazie alle quali deve essere garantita la sicurezza, quella di vivere liberi sul nostro territorio. Devo anche assicurare la mia casa?”.
Le omissioni pubbliche
Mentre il governo pensa quindi di delegare al settore privato un affare pubblico, per scrollarselo di dosso, non fa niente per prevenire proprio le cosiddette “catastrofi naturali”. La lista dei “non” è lunga. Non è impegnato sul fronte dell’adattamento al cambiamento climatico. Non investe nelle rinnovabili. Non ha messo in campo azioni di mitigazione. Non ferma il consumo di suolo, che anzi continua a crescere. Non fa attività per togliere cemento da città e campagne. Non fa opere per liberare i corsi d’acqua che, irregimentati come sono, straripano sotto il peso delle forti piogge.
Rinaturalizzare il territorio
Secondo i calcoli del Wwf, nei fiumi italiani sono presenti almeno 11 mila barriere, tra dighe, briglie e traverse, molte obsolete. E mentre la Strategia europea per la biodiversità prevede di riconnettere e riqualificare almeno 25 mila chilometri di fiumi entro il 2030, da noi si continua ad artificializzarli, a realizzare dighe e interventi che aumentano la vulnerabilità del territorio. Nel report River2Restore l’associazione ambientalista dimostra come i fiumi ripristinati rafforzino la resilienza ai cambiamenti climatici e contribuiscono a mitigare le conseguenze degli impatti. E intanto denuncia che il progetto di rinaturalizzazione del Po, 357 milioni di euro dal Pnrr e 56 interventi nel bacino padano, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, procede troppo a rilento.
Aprire nuovi cantieri
“Rinaturalizzare un territorio vuol dire aprire nuovi cantieri, srotolare la rete rossa, impiegare operai, ingeneri, architetti, geologi, naturalisti, botanici, per rammendare il Paese e non per costruire nuove case in un territorio ad alto rischio idrogeologico – conclude Muroni –. Tutto questo non si sta facendo. Ci vuole una bella faccia tosta: il governo è immobilista sul clima e decisionista sulle tasche degli italiani”.