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“La situazione è molto preoccupante: i ritardi nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono sempre più consistenti e continuano a cumularsi”. È netto il giudizio di Christian Ferrari, segretario confederale Cgil, al termine del confronto della cabina di regia sul Pnrr, che si è tenuto a Roma nella serata di martedì 19 settembre.
“Le misure che potrebbero non rispettare le tempistiche prefissate, e quindi a rischio fallimento - sottolinea il dirigente sindacale - risultano essere (anche dopo l’invio della proposta di revisione alla Commissione europea) ancora 78, con una dimensione finanziaria di oltre 83 miliardi, di cui 39 (il 47% circa) riguardanti interventi localizzati nelle regioni del Sud Italia”.
E c’è di più: “Sul totale delle 78 misure tuttora ‘critiche’, ben 37 riguardano interventi infrastrutturali di competenza del ministero delle Infrastrutture, per un valore complessivo di 38,5 miliardi, di cui circa 20 destinati al Mezzogiorno”.
Ferrari ricorda che la Cgil “non ha condiviso le scelte del governo sulla revisione complessiva del Pnrr, perché prevedono un taglio di 15,9 miliardi e colpiscono principalmente progetti degli enti locali, molti dei quali già in fase di realizzazione. Si sono così stralciati interventi che riguardano la messa in sicurezza del territorio, la rigenerazione urbana, le aree verdi, la riconversione ecologica e l’efficientamento energetico. Ossia alcuni punti fondamentali, e per noi irrinunciabili, del Pnrr”.
Il segretario confederale Cgil evidenzia che “i territori più penalizzati sono quelli del Mezzogiorno. Rispetto al possibile ricorso alle risorse della coesione nazionale, per porre rimedio a questo definanziamento, il vincolo della concentrazione territoriale delle stesse rende oggettivamente complicato un eventuale utilizzo del Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione per finanziare gli interventi esclusi dal Pnrr, dal momento che, per questo fondo, sussistono previsioni normative che già riservano l’80% delle risorse a favore delle regioni meridionali”.
In questa chiave, per la Cgil è “indispensabile garantire, per evitare un saldo finale negativo per il Sud, sia il vincolo di destinazione di almeno il 40% delle risorse del Pnrr sia il carattere addizionale degli investimenti e degli interventi finanziati diversamente”.
Rispetto alla proposta del capitolo RepowerEU, la Cgil conferma la propria valutazione critica: “Le risorse stanziate sono concentrate sugli incentivi automatici, strumento che riteniamo non funzionale agli obiettivi che si vogliono raggiungere. Quest’impostazione, basata sulla sostituzione di investimenti pubblici diretti con incentivi fiscali alle imprese, rischia di compromettere il ruolo trasformativo che il Pnrr dovrebbe avere, a partire dalla transizione energetica, e di ridurre l’impatto finale sul Pil”.
Per Christian Ferrari, invece, serve “un piano industriale per programmare un processo di transizione verso una vera autonomia energetica, con una molteplicità di strumenti che proteggano, riqualifichino e creino capacità produttiva e lavoro di qualità nei nuovi settori strategici della transizione verde (fotovoltaico, eolico, idrogeno)”.
La Cgil, dunque, ribadisce le proprie le valutazioni critiche sul metodo di confronto adottato fin qui. “Continuano a essere negati – dice Ferrari – il ruolo del partenariato economico e sociale, in sede di monitoraggio e attuazione del Pnrr, e la governance partecipata prevista dall’ordinamento europeo e italiano. Anche questa riunione è stata intesa più come passaggio meramente rituale, per dimostrare formalmente di adempiere alle norme contenute nei regolamenti europei, che come occasione sostanziale per costruire partecipazione intorno agli obiettivi del Piano e alle soluzioni necessarie per superarne le difficoltà nella messa in opera. Manca in sostanza qualunque confronto preventivo e di merito e proseguono le decisioni unilaterali e comunicate solo successivamente, a fatto compiuto”.