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Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta il Sud dell’Italia è attraversato da diversi movimenti di rivendicazione sociale. Le organizzazioni di estrema destra rispondono a questa ondata di protesta da un lato con una serie di attentati dinamitardi (il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro una bomba fa deragliare il treno Freccia del Sud provocando 6 morti e 54 feriti; il 4 febbraio 1971 viene lanciata una bomba contro un corteo antifascista a Catanzaro), dall’altro tentando di accreditarsi al grido di ‘Boia chi molla’ come rappresentanti degli interessi della popolazione in lotta.
Dal luglio 1970 al febbraio 1971 una serie di sommosse interessano Reggio Calabria anche in seguito alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro nel quadro dell’istituzione degli enti regionali. “Specie nei quartieri popolari - raccontava ad Oriana Fallaci un latitante Ciccio Franco - v’erano tanti ragazzi che ritenevano che Reggio potesse esser difesa dai partiti della sinistra o di centro-sinistra. E, dopo la posizione assunta dai partiti di sinistra e di centro-sinistra contro Reggio, questi ragazzi hanno ritenuto di dover rivedere la loro posizione anche politicamente. Molti, oggi, fanno i fascisti semplicemente perché ritengono che la battaglia di Reggio sia interpretata in modo fedele solo dai fascisti”.
Il 9 agosto Pietro Ingrao tiene nella città un comizio in piazza Italia, ma viene contestato dalla folla, riuscendo a stento a concludere. Tornerà in una Reggio completamente cambiata due anni dopo, nell’ottobre 1972. La manifestazione indetta per il 22 ottobre di quell’anno, fortemente voluta da Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto (insieme a loro sono in città Luciano Lama e Rinaldo Scheda, alla guida degli edili Cgil c’è Claudio Truffi, a capo della Federbraccianti Feliciano Rossitto) è preceduta da una Conferenza sul Mezzogiorno, alla quale partecipano anche Alfredo Reichlin e Pietro Ingrao, il cui intervento inedito è stato recuperato nel 2015 dall’AAMOD - Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.
"C’è una tradizione antica del movimento operaio e sindacale - diceva il futuro presidente della Camera: ha operato sempre per collocare la lotta di fabbrica, la lotta di categoria, nel quadro più generale di una battaglia sociale per il progresso, per la libertà, per l’emancipazione dei lavoratori. Ebbene oggi sembra a me che questo sindacato cerca la forma nuova che deve trovare questa tradizione. Esso, lo ricordavano tutta una serie di interventi, si trova di fronte a una linea con cui il blocco dominante, incapace di dare una risposta alla crisi che scuote il paese, ricorre non solo alla repressione, ma mira a spingere le masse sfruttate ciascuna nel proprio guscio, nella gabbia della categoria, del municipio, della clientela, nell’inganno della guerra tra i poveri e della corsa corporativa. E lo fa per frantumare le forze, per scavare un fossato tra la fabbrica di Torino e la città di Reggio, per rendere l’una e l’altra incapaci di cambiare l’assetto generale. Perciò mi sembra di grande importanza per tutte le forze di progresso del nostro paese il fatto che questa Conferenza abbia respinto questa prospettiva, e venga a dire che il sindacato unitario vuole essere oggi non solo l’organizzazione di un numero limitato di occupati, ma un’organizzazione più vasta e complessa, che sappia costruire un’unità di popolo, una comunione di lotta fra lavoratori disoccupati e lavoratori occupati, tra Nord e Sud. (...)"
"E vorrei essere chiaro - prosegue Ingrao: noi abbiamo sempre respinto, compagni lavoratori, la formula sommaria che ingloba tutti e tutto nel termine ambiguo e sbagliato di classe politica. Lo abbiamo fatto non già per sfuggire al discorso, ma perché questo concetto rischia di fare tutte le vacche nere nella notte: perché non porta a vedere le responsabilità e i passi in avanti da compiere. E così dico apertamente che non accetterei una visione che metta sullo stesso piano chi ha governato e chi è stato all’opposizione, chi è stato con Agnelli e con Pirelli e chi ha sfidato e ha pagato per la repressione di Agnelli e di Pirelli, chi ha difeso e difende ancora oggi la rendita fondiaria come accade con la scandalosa legge sui fitti agrari, e chi invece ha lottato qui e altrove in prima fila contro l’agrario per il mezzadro, per il colono, per il coltivatore diretto. Ma contemporaneamente sento che il discorso contenuto in questa Conferenza chiama anche noi, chiama anche il mio partito, chiama anche i partiti operai e popolari, a far compiere un passo in avanti al loro rapporto con le masse. E in un senso molto preciso: il tipo di obiettivi che si presentano oggi al movimento operaio e popolare, le riforme per cui combattiamo, non consentono più una lotta di massa che si esprima solo come pressione, anche forte ma generica, per una mediazione politica che poi si svolge al vertice. No, tutta l’esperienza vissuta, sofferta in questi anni, ci dice che la rinascita del Mezzogiorno, la conquista della piena occupazione, la valorizzazione delle risorse, la qualificazione del lavoro, potranno realizzarsi solo se muterà qualche cosa nella qualità del potere, nel modo con cui sono organizzate le masse, nell’organizzazione stessa dello Stato".
Fallito il sistema clientelare, fallito anche il dirigismo tecnocratico, anche per questo conclude il dirigente del Partito Comunista: "Noi forza politica operaia e popolare abbiamo bisogno del dialogo e del confronto con il sindacato. E qui lasciatemi ribadire: non ci interessano sindacati satelliti. Non ci interessa un sindacato subalterno a questo o a quel partito, incapace di far fronte al suo compito storico. Ci interessa che cammini la costruzione autonoma di una grande organizzazione unitaria e che cammini nelle forme proprie che si è data, con le forme sue originali di democrazia di base. Ma proprio perché crediamo in una unità sindacale che non sia compromesso tra sindacati subalterni, proprio perché crediamo in un processo unitario che si fondi sulla partecipazione delle masse, proprio per questo riteniamo che questa crescita autonoma del sindacato non possa portare alla lontananza e al silenzio reciproco, ma debba portarci al dialogo e al confronto tra sindacati e forze politiche. (...) Questa è la visione del dialogo che noi abbiamo: reciproca ricchezza nell'autonomia".