Si trovano dappertutto, in un numero incredibile di prodotti e oggetti di largo e larghissimo uso, si trovano nell’acqua, nell’aria, nella terra, nel mare, nei cibi, negli animali, nei pesci, nel sangue e negli organi delle persone. Fanno male e fanno ammalare di patologie anche mortali. Sui Pfas, sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate nocive e persistenti, si fanno sempre più scoperte allarmanti. Persino che sono arrivati a contaminare una delle aree più remote del Pianeta, l’Artico, trasportati dai gabbiani.
Per contribuire alla diffusione delle informazioni sui danni alla salute e all’ambiente di queste sostanze e sulle buone pratiche esistenti, la Cgil Veneto ha organizzato il seminario “Pfas, intervenire oggi per cambiare il futuro”, il 4 dicembre nella sede di Mestre (Venezia) e in diretta su Collettiva.it.
Più conoscenza
“L’obiettivo dell’iniziativa è ampliare la consapevolezza sugli impatti che i Pfas hanno sulla popolazione e in particolare sui lavoratori esposti – spiega Giampaolo Zanni, coordinatore delle politiche salute e sicurezza sul lavoro Cgil Veneto -. Oltre agli effetti sulla salute si illustrano le alternative possibili, che oggi ci sono in tutti i settori e che vengono applicate da alcune aziende, le buone pratiche e come tradurre le conoscenze attuali in azioni anche di tipo contrattuale per tutelare i lavoratori. È da lì che bisogna partire per contrattare una transizione, incentivando gli studi e l’impiego di prodotti che vadano a sostituirli. E questo sta già avvenendo”.
Usati dappertutto
Ci sono aziende in Danimarca e Svezia che producono indumenti tecnici sportivi usando prodotti che hanno gli stessi effetti idrorepellenti ma non provocano danni alla salute e all’ambiente. Anche nell’industria cosmetica esistono valide alternative.
Quindi si può fare. A dispetto di quanto ha sostenuto dall’ex presidente della Bce ed ex primo ministro italiano Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività in cui afferma che una possibile messa al bando di queste sostanze nella Ue avrebbe un impatto negativo sullo sviluppo e sulla produzione di tecnologie fondamentali per la transizione energetica. E aggiunge: al momento non esistono alternative ai Pfas e uno stop europeo favorirebbe i concorrenti cinesi e statunitensi nella corsa alle energie pulite.
Sostituirli si può
“Greenpeace ha invece dimostrato che le alternative ci sono, eccome – prosegue Zanni -. Il distretto del fashion di Prato ha messo al bando i Pfas e altre sostanze nocive dalle proprie produzioni da almeno dieci anni, e ne fa elemento di competitività per distinguersi dalle fabbricazioni realizzate nei Paesi a basso costo. E questo è uno dei tanti esempi che si potrebbero fare. Aggiungo che il percorso di messa al bando va avviato subito, visto che da un documento messo a punto da Confindustria risulta che i Pfas sono impiegati praticamente in quasi tutti i settori industriali. Non esiste alcun trattamento termico per distruggere queste molecole; nelle lavorazioni di ‘smaltimento’ una parte viene dispersa e una parte diventa Pfas a catena più corta, rimanendo comunque nell’ambiente”.
Dal Veneto al Piemonte
Diventa quindi urgente adottare misure per ridurre il rilascio e l’utilizzo di queste sostanze chimiche nei prodotti di consumo e industriali e investire in tecnologie innovative per la rimozione dalle acque reflue e dai siti contaminati. In Italia, oltre alla Miteni, ex Rimar, di Trissino (Vicenza) che dalla fine degli anni Settanta al 2018 ha contaminato un vasto territorio a cavallo delle province di Vicenza, Verona e Padova e ha avvelenato oltre 300 mila abitanti e centinaia di lavoratori, c’è uno stabilimento che tuttora produce queste sostanze, la Solvay di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria.
Lavoratori e popolazione
Mille lavoratori coinvolti, un bacino di abitanti da delimitare e studi che sono ancora agli inizi: è stato appena avviato un monitoraggio dell’Arpa, un report dell’assessorato alla Sanità della Regione dovrebbe essere pubblicato tra poco, quindi sarà la volta di uno screening a tappeto della popolazione. Ma ci vorranno anni per avere una mappatura della presenza dei Pfas nel sangue di migliaia di persone. Quello che è certo è l’esistenza di un inquinamento ambientale serio e grave, dell’acqua, dei terreni e anche dell’aria: tracce delle molecole sono state trovate dappertutto.
Processo alle battute finali
Intanto in Veneto il processo per avvelenamento delle acque in Corte d’assise, in cui Cgil e Filctem sono parte civile, è alle battute finali: dovrebbe concludersi a inizio anno. Le indagini relative ai danni ai lavoratori sono state archiviate per prescrizione; in ogni caso non ci sarebbe certezza di una correlazione tra l’esposizione ai Pfas e le malattie oncologiche che sono insorte. Nel frattempo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha riclassificato il Pfoa (uno dei Pfas) come certamente cancerogeno, mentre il Pfos è un probabile cancerogeno.
Una nuova iniziativa
“Questo cambia le carte in tavola – conclude Zanni della Cgil Veneto -. Stiamo lavorando a livello giuridico e legale per una nuova iniziativa, con nuovi casi e altri lavoratori. Alla luce di quanto affermato dallo Iarc (ma siamo in attesa della pubblicazione ufficiale) potremmo arrivare a una conclusione diversa del processo. L’obiettivo è ottenere un rinvio a giudizio per i danni ai lavoratori. Grida vendetta il fatto che non ci sia un accertamento di quanto è accaduto ai lavoratori della Miteni, mentre continuano ad avere nel sangue valori elevatissimi di Pfas, e si registrano nuovi casi di tumori ai testicoli e ai reni, che sono due di quelli riconducibili all’esposizione a queste sostanze”.