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In Abruzzo non ci siamo fatti mancare davvero nulla. Il terremoto del 2009 ha pressochè distrutto la città capoluogo di Regione, poi abbiamo dovuto affrontare il sisma del Centro Italia del 2016 e gli eventi sismici del 2017 sono accaduti mentre era in corso un’eccezionale nevicata per cui interi paesi erano già isolati e la linea elettrica era fuori uso mentre si avvertivano le forti scosse di terremoto. Tra le conseguenze di quegli eventi c’è la strage di Rigopiano, il cui processo è ancora in corso. Nell’arco di sette anni questa regione ha affrontato gravi emergenze e due processi di ricostruzione.
La prima considerazione che mi viene da fare è che tra il 2009 ed il 2016, nonostante l’immane tragedia dell’Aquila, poco o nulla è stato fatto in tema di prevenzione. La seconda è che il terremoto del 2009 non ha suscitato i giusti stimoli affinché la politica, facendo tesoro dell’esperienza aquilana, sia nella fase di emergenza che in quella della ricostruzione, fornisse delle regole e delle procedure a cui agganciarsi saldamente in caso di nuove calamità naturali. Questo oggettivamente spiace e un po’ brucia, se è vero che gli errori del passato dovrebbero insegnarci a orientare il futuro, tanto più se quegli errori hanno provocato molte vittime e sofferenze.
Nel terremoto dell’Aquila abbiamo assistito a un vulnus di democrazia nella fase dell'emergenza, dove le decisioni assunte, che avrebbero inciso profondamente sul futuro delle popolazioni del cratere, sono piovute dall’alto. E così è stato realizzato il progetto “Case” varato dal governo Berlusconi: progetto esoso, che consiste in quartieri dormitorio senza servizi né socialità, che soffre di cedimenti e infiltrazioni e dal futuro urbanistico incerto, poiché il Comune dell’Aquila non ha ancora idea della destinazione di quelle aree. Quel che è certo però è che quelle case costano tanto in termini di manutenzione, al punto che oramai da anni c’è una polemica costante tra il Comune ed il governo nazionale, che ha costretto l’ente locale a spendere ogni anno una quantità di risorse esorbitante.
Dopo alcuni mesi tutto si ferma. A un certo punto cala il sipario, l’Aquila è zona rossa, tutto il centro storico chiuso, abbandonato. Sarà necessaria una sommossa popolare, quasi un anno dopo il terremoto, con il “popolo delle carriole” che forza la zona rossa e comincia a raccogliere le macerie. Il diritto alla ricostruzione non c’è, nessuna legge lo prevede, è necessario porre in essere azioni eclatanti per rivendicare con orgoglio un diritto. La protesta arriva fino a Roma. A luglio 2010 c’è la manifestazione a Palazzo Grazioli, con la polizia che carica il corteo, per chiedere l’azzeramento del recupero delle tasse sospese nel periodo dell’emergenza, una vicenda che si sarebbe definita solo molti anni più tardi, e il congelamento dei mutui, oltre a una serie di misure di sostegno all'occupazione e all'economia inquadrate in una legge che preveda procedure efficaci per la ricostruzione e finanziamenti certi. Non si tratta di privilegi, bensì di equità e di diritti.
Ma c’era la carenza di personale negli uffici pubblici per la ricostruzione, nei comuni, nella Regione, al Ministero. Per colmarla, sono stati reclutati centinaia di lavoratori precari in attesa del maxi concorso avvenuto solo nel 2012. Come Cgil abbiamo lavorato con l’allora ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca e con i ministri competenti per garantire ammortizzatori sociali ad hoc, aiuti alle famiglie, ripartenza delle attività produttive. Sempre nel 2012, tre anni dopo il terremoto, una legge stabilisce che il 4 per cento delle risorse destinate alla ricostruzione siano finalizzate anche al sostegno delle attività produttive, della ricerca, della sostenibilità ambientale ed energetica, dell'utilizzo di moderni materiali da costruzione e di avanzate tecnologie edilizie, della riorganizzazione delle reti infrastrutturali e della banda larga. Un provvedimento utile e necessario per la ripresa socio economica del territorio.
Ma mentre la ricostruzione privata procedeva, il grosso della ricostruzione pubblica rimaneva ferma. Sette anni dopo, con il secondo terremoto che coinvolge Abruzzo, Marche, Umbria, Lazio, i cittadini abruzzesi rivivono di nuovo lo stesso film: si ricomincia da capo. La tragedia aquilana non è servita a mettere ordine nelle attribuzioni di competenze, a porre rimedio alle lungaggini inaccettabili della ricostruzione, a sistemare le procedure da seguire, a restituire diritti alle persone colpite dalle calamità naturali.
Così, si è ricominciato da capo, le macerie non sono state rimosse, la ricostruzione è stata ferma per troppo tempo, una norma utilissima già utilizzata nel sisma del 2009, quella che obbliga le aziende della ricostruzione a produrre il Durc di congruità dell'incidenza della manodopera, non è stata reiterata. Nel nuovo sisma del 2016, dunque, non viene reso immediatamente operativo uno strumento molto valido per far emergere il lavoro irregolare, per contrastare fenomeni di dumping contrattuale, per tutelare le imprese virtuose. Bisognerà attendere oltre due anni, l’ordinanza n. 58/2018 e la n. 78/2019 affinché si introduca anche per il cratere 2016 il Durc di congruità.
Allo stesso modo è ricominciata da capo la discussione sulla sospensione delle tasse e la relativa quota di restituzione, e non si è reintrodotta neppure la norma per cui il 4 per cento delle risorse destinate alla ricostruzione dovevano essere finalizzate al sostegno delle attività produttive, della ricerca, della sostenibilità ambientale ed energetica. Con la conseguenza che cittadini ed imprese che vivono lo stesso dramma ma in luoghi e momenti diversi hanno diversi diritti e diverse tutele.
Emblematiche, dal mio punto di vista, le parole del Commissario Giovanni Legnini, che voglio ringraziare perché la sua nomina ha dato una nuova tabella di marcia alla ricostruzione e ha aperto un confronto importante con le parti sociali, quando ha affermato che: “A distanza di quattro anni dal primo dei distruttivi fenomeni sismici, il processo di ricostruzione, sin qui caratterizzato da una lentezza non più sostenibile, è a un punto di svolta”. Ci sono voluti 4 anni, non 4 mesi.
Da questi fatti credo che emerga in maniera chiara la necessità di procedere all’approvazione di una legge quadro che disegni i perimetri entro cui le istituzioni dovranno muoversi nella salvaguardia dai rischi, nella riduzione dell’impatto delle calamità naturali e nella ricostruzione. Serve una legge quadro che sancisca il diritto alla ricostruzione dei territori (per cui i cittadini non debbano andare ogni volta a manifestare davanti al Parlamento con il cappello in mano), che dia uguali diritti alle popolazione colpite dalle calamità naturali, che definisca le regole generali, le competenze, le fasi da seguire, che definisca strutture operative nazionali che abbiano personale competente ad affrontare da subito il processo di ricostruzione, al fine di evitare che a ogni catastrofe si debbano attendere anni prima di riaprire i cantieri. I cittadini non possono attendere questi tempi, le aree interne muoiono quando i loro abitanti non hanno la certezza della ricostruzione, non solo ricostruzione delle case, ma anche ricostruzione sociale ed economica.
La Cgil Abruzzo e la Camera del lavoro di Teramo già nell'ottobre 2017 hanno tenuto un’iniziativa all’università di Teramo per denunciare ciò che non funzionava nella prevenzione, nell’emergenza e nella ricostruzione e per chiedere che vi fosse un intervento organico di natura legislativa che definisse la cornice degli interventi. Oggi ribadiamo la necessità di una legge quadro che velocizzi la ricostruzione pubblica dopo le catastrofi naturali, che aiuti le imprese del territorio ma che ne condizioni gli incentivi alla continuità produttiva, alla creazione di lavoro stabile e di qualità, alla sostenibilità, all’innovazione e alla ricerca. Serve una legge quadro che dia dignità e diritti alle popolazioni vittime delle calamità naturali.
Carmine Ranieri è segretario generale Cgil Abruzzo e Molise