È stato chiamato decreto “carcere sicuro” il provvedimento varato dal Consiglio dei ministri che inizialmente era nato come “svuota carceri” e già il cambio di appellativo ci può fare immaginare che il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari non sarà risolto. In molti tra coloro che si occupano dei problemi carcerari l’hanno definito quanto meno insufficiente.

L’obiettivo dichiarato dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, è quello di semplificare le procedure per accelerare i tempi della burocrazia nel carcere e umanizzare gli istituti garantendo anche l'alternatività della pena in comunità. Il decreto prevede l'istituzione di un albo delle comunità che potranno accogliere alcune tipologie di reclusi, come coloro ai quali rimangono periodi brevi di pena, i tossicodipendenti e i condannati per alcuni generi di reato.

Prevista anche la semplificazione delle procedure per la concessione della liberazione anticipata, o di misure alternative, che potrebbe diventare automatica. Nordio ha spiegato che “ci sarà una specie di 'patto' per mettere il detenuto subito al corrente dei suoi diritti e degli sconti che potrebbe ottenere se si comporta bene in carcere". Il numero di telefonate che i detenuti potranno fare e passerà da 4 a 6 al mese. 

Per la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi, si tratta di misure che non affrontano i nodi del problema carcerario nel nostro Paese, soprattutto a fronte degli ultimi dati del Dap sul sovraffollamento: “Va evidenziata la drammatica condizione negli istituti negli istituti penitenziari – afferma -, dove al 30 giugno si registravano 61.470 detenuti, quasi 4000 in più in un anno con un livello di sovraffollamento che, se lo calcoliamo sui posti regolamentari, supera il 120% con punte sino al 210%. Ogni mese il numero dei tenuti cresce ulteriormente e arriverà a quei livelli che quindici anni fa portarono la Corte europea dei diritti dell'uomo a condannare l'Italia per violazione dei diritti umani”. 

Il sovraffollamento carcerario va di pari passo con le condizioni di vita dentro le istituzioni penitenziarie che “non consentono di realizzare quella che è la finalità della pena, vale a dire la rieducazione e il recupero sociale dei detenuti. Bisogna ricordare – prosegue Barbaresi – che nelle carceri c’è un grande numero di persone con problemi di salute mentale, tossicodipendenti, immigrati irregolari e detenuti con pene di breve durata o per reati di scarso allarme sociale che potrebbero scontare la pena in luoghi diversi e con un forte legame con il territorio. A tutto ciò si aggiunge il drammatico problema dei suicidi”.

I detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno sono infatti ben 55, due solamente nelle ultime 48 ore, nella Casa circondariale di Varese e di Viterbo, dove è inoltre scoppiata una protesta. Il numero dei suicidi in carcere sale poi a 61 se aggiungiamo i 6 agenti di polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. 

“C’è carenza di personale di ogni profilo professionale, agenti di polizia di penitenziaria, educatori, psicologi, figure sanitarie. Questo decreto non interviene efficacemente per affrontare i nodi della condizione carceraria perché si tratta di interventi assolutamente insufficienti, marginali e inadeguati rispetto alla vastità del problema e buoni solamente per la propaganda – dice la segretaria nazionale della Cgil – e le parole suggestive che vengono usate sono ben lontane dalla realtà. Il governo, sin dal suo insediamento, ha perseguito una politica proibizionista e repressiva che ha continuato a introdurre nuovi nuovi reati anziché affrontare i temi cruciali”. 

Inoltre non vi è nessuna azione “per garantire il diritto di chi sta in carcere al lavoro e a un percorso di formazione. Una battaglia che la Cgil sta portando avanti da tempo, ad esempio, è quella per il riconoscimento del diritto alla Naspi per i lavoratori detenuti: stiamo facendo ricorso e stiamo vincendo le sentenze, ma sarebbe necessario che questo diritto venisse riconosciuto senza fare ricorsi. Se si vuole umanizzare la condizione carceraria – conclude Barbaresi -, lo si faccia con misure concrete e soprattutto alla luce dei numeri importanti che ci sono”.