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Qatar, Stato onomatopeico che solo a pronunciarlo viene voglia di uno sciroppo per togliere quel raschietto alla gola e quel senso di disagio. Un Paese che sta al calcio come Montesano all’Anpi, organizza i mondiali più bislacchi della storia. Un attentato per noi, ferventi credenti nel dio pallone, abituati a grondare di sudore nelle canicole serate estive e ora costretti a indossare il maglione di lana per assistere a un inebriante Iran-Galles addentando il panettone sul divano. Fallo veniale, per carità, neanche da cartellino giallo. Il rosso diretto, senza consulto Var, arriva però inesorabile all’ennesima entrata a gamba tesa per stroncare sul nascere ogni barlume di diritti. Perché non basterà una rabona di Neymar a lavare il sangue degli operai caduti dalle impalcature degli stadi. E nemmeno lo scavetto di Messi a cancellare la repressione perpetrata nei confronti di donne e migranti. La bandierina si è alzata da un pezzo, il fuorigioco è piuttosto netto.