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Martedì 30 maggio sono stati effettuati, come ogni anno, i controlli sulle acque del mare per dare il via libera alla stagione balneare. Su 98 punti di prelievo solo 19 sono risultati fuori norma: “14 dei quali nel ravennate, interessati più degli altri dagli effetti dell’alluvione che ha coinvolto diversi corsi d’acqua con afflusso al mare. Gli altri tratti in cui si sono verificati sforamenti sono a Goro nel ferrarese (2) e in provincia di Forlì-Cesena (3)”. A effettuare i prelievi e comunicare i risultati l’Agenzia prevenzione ambiente energia dell’Emilia Romagna. Il 16 maggio la sede di Forlì è finita sott’acqua. Andrea Giunchedi è uno dei tecnici alluvionati.
Il fiume esce dagli argini
“La nostra sede è a 500 metri dalla confluenza di due fiumi – racconta Giunchedi –, gli argini hanno tenuto ma l’acqua era troppa ed è venuta fuori allagando il nostro parcheggio, gli uffici e i laboratori al piano terra”. Già i laboratori, l’Arpae analizza la qualità dell’acqua, dell’aria, della terra. Attività fondamentale per la tutela della salute dei cittadini e delle cittadine. Sono le sue analisi, ad esempio, che assicurano la balneabilità di mare e laghi, che tengono sotto controllo l’inquinamento elettromagnetico e quello da polveri sottili.
Strumenti indispensabili nel fango
Microscopi, frigoriferi indispensabili a conservare i campioni da analizzare, pc e arredi pesanti. Tutto sotto l’acqua e sotto il fango. Ma tecnici amministrativi e gli altri operatori della sede – sono una quarantina - non si sono persi d’animo. “Siamo andati in sede e abbiamo cercato di far defluire l’acqua e poi di spalare il fango. Era una cosa che mi sentivo dentro: non potevo star lontano dal mio posto di lavoro”, confessa Giunchedi. Poi sono arrivati gli addetti di una ditta specializzata e han portato via scrivanie, sedie, scaffalatura e quanto trasformato in rifiuti. “Buona parte dei microscopi, ad esempio, non funziona, saranno sostituiti ma non ci stiamo ingegnando per riparare e salvare il salvabile. Insomma siamo già tornati operativi, non al massimo ma siamo tornati a lavorare. Le nostre analisi sono fondamentali: salute non è solo cura delle malattie, si costruisce anche vivendo in un ambiente salubre e noi verifichiamo che così sia”.
Alluvionate anche le case
L’impegno non finisce con la messa in sicurezza della sede dell’Arpae, Andrea Giunchedi aggiunge: “Tanti di noi hanno sentito naturale andar a dar una mano a chi aveva la casa finita sotto il fango, non li conoscevo ma ho detto sono qua ditemi cosa devo fare, vi metto a disposizione le mie mani. Certo, è stata un’esperienza molto coinvolgente, sgombrare le camere da letto, l’intimità delle case mi ha fatto entrare nella vite di queste persone. Questi giorni mi han fatto tornare alla mente il clima che ho respirato quando da militare sono andate in Umbria colpita dal terremoto del 97. Abbiamo riscoperto il senso di comunità”.
118 servizio fondamentale
Cesare Betti ha 53 anni, infermiere in servizio sulle ambulanze del 118 nel distretto di Faenza da un anno e mezzo, prima per oltre 20 in rianimazione: “Ho chiesto io di andare al 118, dopo i mesi del Covid sentivo il bisogno di stare all’aria aperta”. Per tutto il distretto, quasi 90.000 abitanti distribuiti su un'estensione territoriale che va dal mare alla montagna passando dalla collina e arrivando al confine con la Toscana, ci sono tre ambulanze e due automediche. I turni sono lunghi, un infermiere e un autista dalle 7 alle 19, il giorno dopo dalle 19 alle 7 e poi due giorni di riposo.
Arriva l’acqua
“La notte del 16 non ero di turno ma sono rimasto a dormire – si fa per dire – in sede per paura di non riuscire ad arrivare in tempo il giorno dopo. Confesso: non solo non ho quasi riposato, ma sono anche uscito per rispondere al alcune chiamate”, cosi racconta Betti che aggiunge. “Certo non eravamo attrezzati e allora mi sono portato da casa gli stivali di gomma e delle cerate con le quali vado a pesca. Nessuno si aspettava quel che è successo, ho visto i carabinieri andare casa per casa a invitare la gente ad andarsene e invece molti sono voluti restare. Da fare ce ne era molto e in diversi abbiamo dato la disponibilità a rimanere anche fuori dai turni”.
Gli interventi necessari
L’acqua era davvero tanta, alla fine auto mediche e ambulanze non riuscivano a muoversi. “Siamo andati a fare gli interventi con i gommoni e toboga dei vigili del fuoco. Siamo andati a prendere persone allettate che non riuscivano a evacuare. E la situazione di emergenza è durata diversi giorni perché finita l’acqua è rimasto il fango. Ho fatto un intervento camminando su una passerella, ho messo un piede fuori e la melma mi arrivava al ginocchio”.
L’emergenza non è finita
Le chiamate sono state e sono ancora tante. Molti, racconta Betti, sono malori causati dallo stress, sembrano attacchi di cuore ma non sempre lo sono. Lo stress certo per la paura passata che non abbandona, e per una condizione che è ben lontana dalla normalità. “Oggi, sono molti gli interventi che facciamo per soccorrere chi scivola su fango viscido o cade dalla bicicletta a causa del ciottolino steso sull’asfalto allagato”.
Un impegno senza risparmio quello di Cesare Betti e dei suoi colleghi. Certo, se invece di diciannove a garantire il servizio in un territorio tanto ampio fossero di più, il lavoro sarebbe anche per loro meno stressante e più efficiente. Ma si sa, anche in Romagna tagli su tagli...