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Per noi il “genere” non esiste.
Posto che gli individui debbano sentirsi ciò che sono nel senso più libertario e alto della vita, di sentirsi fuori, semmai dovesse esistere il “genere”, allora è femminile per la grammatica.
Siamo operai “maschi” che lavorano in un’officina di manutenzione componenti importante di Bologna.
Officina e Bologna sono di “genere” femminile, quindi donne.
Sì, perché tutte le cose buone in un luogo di lavoro sono di “genere” femminile e quindi donne: l’officina, la rsu, la mensa, la pasta, l’acqua, la locomotiva.
Lavoriamo in una grande azienda, Trenitalia.
Azienda è di “genere” femminile, quindi donna.
Trenitalia, riferito all’Azienda, è di “genere” femminile, quindi donna.
Tutte le cose buone in un’azienda sono di “genere” femminile, quindi donne: l’organizzazione, l’amministrazione, la famiglia dei lavoratori, la seconda casa, la collega.
La collega che completa il collega e i colleghi.
L’impiegata che completa l’impiegato e gli impiegati.
L’operaia che completa l’operaio e gli operai.
Non c’è nulla da fare, la sintassi insegna.
Un’officina senza donne non ha valore, non fa la differenza, non fa azienda.
L’azienda, il posto di lavoro senza le donne è vuoto, triste, incompleto.
La sintassi e la grammatica, due sostantivi di “genere” femminile e quindi donne, insegnano.
Ci spiegano il senso della cosa.
Vuoto, spento, triste, incompleto sono aggettivi, riferiti al posto di lavoro, di “genere” maschile, quindi uomini.
Ma quando nel posto di lavoro ci sono le donne allora l’officina, l’azienda si riempie e diventa tanta, piena, solare, bella, completa.
Il “genere” maschile senza le donne è incompleto; con le donne si completa.
Non c’è nulla da fare la sintassi e la grammatica, due sostantivi di “genere” femminile, due donne, ci spiegano il senso della cosa: l’uomo per
completarsi ha bisogno della donna.
Ci insegnano dunque il senso della vita.
E la vita è un sostantivo di “genere” femminile, quindi è donna.