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Vigilia di apertura delle scuole, ma non per tutti. Sono infatti oltre un milione le bambine e i bambini tra zero e tre anni esclusi dagli asili nido. Un'impossibilità dettata da motivi diversi: per scelta delle famiglie ma, soprattutto, perché 'respinti', tra una scarsa offerta pubblica, in progressivo definanziamento, e l'esosa richiesta privata. A denunciarlo è la Fp Cgil in base a una elaborazione condotta sui dati Istat relativi all'offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia in parallelo con le rilevazioni della banca dati Istat. La Fp sottolinea "come sia necessario invertire la rotta sugli investimenti sul personale che opera nel settore, attraverso nuove assunzioni, percorsi di riqualificazione e rinnovo del contratto nazionale". La stima di oltre un milione di bambine e bambini senza 'diritto d'asilo', fatta sugli ultimi dati della banca dati Istat, si rileva dal totale dei bambini tra zero e tre anni presenti sul territorio nazionale nel 2016, ovvero 1.492.020.
Nel dettaglio: tra zero e un anno erano 479.611; tra uno e due anni 500.649; infine tra due e tre anni 511.760. Essendo i posti disponibili tra nidi pubblici e privati 320.286, le bambine e i bambini senza un posto, fuori dal circuito nidi, sono oltre un milione, per la precisione 1.171.724. Entrando nel dettaglio dell'elaborato, che rilancia la campagna della categoria dietro le parole '#ChiedoAsilo: perché l'asilo nido sia un diritto e non più un servizio a domanda individuale', la Fp Cgil riporta come l'Istat abbia censito sull'intero territorio nazionale, per l'anno scolastico 2016-2017, 13.147 servizi socio-educativi per l'infanzia, tra pubblici e privati, di cui 11.017 sono asili nido.
Una mole tale da coprire nel complesso circa 354 mila bambine e bambini, in poco più della metà dei casi allocati in posti pubblici, e di cui 320 mila nei nidi. Numeri che corrispondono al 24 per cento del potenziale bacino di utenza, ovvero 24 posti ogni 100 bambini, ancora ben al di sotto da quel 33 per cento fissato dall'Unione Europea nella (passata) strategia di Lisbona che prevedeva entro il 2010 tale copertura. La percentuale di copertura del 24, come emerge dai dati, è frutto di un territorio molto frastagliato in termini di offerta dei servizi. Netta la divisione tra Nord e Sud, così come tra i capoluoghi di provincia e i comuni più piccoli. In diverse ragioni del Centro-Nord, segnala l'Istat, il parametro del 33 per cento è ampiamente superato (Valle d'Aosta, Emilia Romagna, Toscana, Provincia di Trento) o prossimo a essere raggiunto.
Nel Mezzogiorno si è ancora molto lontani: in Abruzzo, Molise e Sardegna i posti privati e pubblici superano il 20 per cento delle bambine e dei bambini sotto i tre anni, nelle altre regioni non si raggiunge il 15 per cento. Guardando ai due estremi, i posti variano da un minimo del 7,6 per cento di copertura in Campania a un massimo del 44,7 in Valle d'Aosta. Dati che, osserva la Fp Cgil, "dimostrano come continui ad essere presente una forte e insostenibile sperequazione tra Nord e Sud che richiederebbe investimenti mirati a rafforzare l'offerta di nuovi servizi e nuove assunzioni nel settore".
A fronte di 13.147 servizi socio-educativi per l'infanzia presenti sul territorio nazionale, i posti autorizzati al funzionamento sono circa 354 mila, di cui il 48 per cento privati. Ma il problema è soprattutto nella spesa dei comuni per i nidi che è diminuita passando da 1,6 miliardi di euro del 2012 a 1,4 miliardi del 2016. Nonostante ciò la compartecipazione delle famiglie cresce dal 2004 al 2014 passando dal 17 al 20 per cento della spesa corrente impegnata dai Comuni. Forti sono le divaricazioni tra Nord e Sud. La spesa media dei comuni a livello regionale varia drasticamente: per un bambino della Calabria i comuni stanziano in media solo 88 euro per i servizi offerti, contro i 2.209 euro del Trentino. Diminuiscono i nidi gestiti dai comuni a favore di una crescente scelta delle amministrazioni a forme di privatizzazioni o servizi privati puri.
L'Istat fa sapere che nel corso degli anni sono diminuiti gli utenti dei nidi comunali a gestione diretta, ovvero con personale del Comune, e aumentate le gestioni appaltate ad associazioni e a enti privati. Nell'anno scolastico 2016-2017 negli asili nido a gestione diretta sono iscritti circa 93.200 bambine e bambini, contro gli oltre 99.700 di quattro anni prima; gli utenti dei nidi appaltati a gestori privati sono aumentati di quasi 3 mila unità. La spesa corrente dei comuni si riduce decisamente, passando dalla gestione diretta a quella indiretta. Nel primo caso il comune spende mediamente 8.798 euro per utente, al netto della quota rimborsata dalle famiglie, nel secondo caso la quota a carico del comune è di 4.840 euro in un anno. Per la Fp Cgil, quindi, "serve un investimento straordinario sull'offerta pubblica, unico elemento di garanzia di un miglioramento anche della qualità dei servizi. Per queste ragioni è prioritario superare i vincoli che ancora oggi impediscono ai Comuni di incrementare l'offerta a gestione diretta".