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Durante questa emergenza scuola, bambini e giovani sono i grandi assenti: fino a oggi non hanno avuto alcuno spazio nel dibattito pubblico del nostro Paese e tantomeno nell’Agenda politica del Governo. Se ne parla solo per questioni formali: come completare l’anno scolastico perché sia valido, come fare gli esami di stato, come costruire il calendario del prossimo anno a scuola. Ma le questioni sono altre e ben più sostanziali. Oltre 500.000 studenti secondo il ministero dell’Istruzione non stanno facendo la didattica a distanza; migliaia di bambini della scuola dell’obbligo, quella sancita dalla Costituzione come un diritto esigibile per tutti, al massimo ricevono qualche compito a casa da fare a distanza se ci sono genitori in grado di aiutarli; ci sono tantissimi insegnanti soprattutto al Sud, nelle periferie delle grandi città o nella aree interne, che ogni giorno ‘si sbattono’ per cercare i loro studenti, per mantenere con loro un contatto, per far sentire loro che la scuola c’è.
Ma in realtà, diciamolo, la scuola c’è stata finora troppo poco! Soprattutto perché in questa fase di emergenza è mancato un coordinamento da parte del ministero dell’Istruzione rivolto a tutte le scuole e che, in collaborazione con le regioni, desse indicazioni operative chiare e univoche. Tutto è stato lasciato, come sempre, alla buona volontà delle singole scuole, al buon cuore di dirigenti scolastici e docenti! È c’è stato chi – in molti – pur in solitudine ma con creatività ha tenuto aperta la scuola; e chi – ancora troppi – ha pensato di chiuderla per esempio decretando delle festività pasquali ‘surreali’ per numerosi giorni, togliendo a bambini e ragazzi un punto di riferimento fondamentale per mantenere i contatti con i loro insegnanti e compagni.
Per la cosiddetta Fase 2 questo non possiamo più permettercelo: serve un Piano strategico che, al di là dei tempi della riapertura delle scuole, definisca come garantire la scuola a tutti e soprattutto a chi è nella fascia dell’obbligo di istruzione. Sappiamo che per gli studenti più piccoli è difficile costruire una scuola a distanza, ma se come diciamo il domani non funzionerà come prima, non torneremo alla vita di prima come se tutto questo non fosse mai successo, occorre che la politica e tutte le figure professionali della scuola compiano un grande sforzo collettivo per pensare a un nuovo modo di andare e fare scuola. Un nuovo modo che senza dubbio tuteli la salute e la sicurezza dei lavoratori della scuola e che nello stesso tempo garantisca i diritti costituzionali delle nuove generazioni a conoscere, istruirsi, partecipare alla vita democratica.
Credo, infatti, che ci sia una grande questione democratica alla base della nostra richiesta come Cgil di investire ora su un Piano strategico sulla scuola, impegnando ovviamente nuove e ingenti risorse: aver fatto poca scuola inciderà senza dubbio sulla crescita delle disuguaglianze sociali e educative tra le nuove generazioni, farà aumentare quella forbice dei divari territoriali in istruzione già molto forti prima dell’emergenza sanitaria. Crescerà il numero dei giovani che non sanno capire un testo di base, che non sono capaci di scrivere un elaborato elementare, che hanno difficoltà nei calcoli elementari. Quale società del futuro potranno abitare queste generazioni? Soprattutto come potranno essere i protagonisti di un nuovo modello di sviluppo?
Per la Cgil il tema di un nuovo modello di sviluppo è cruciale; lo abbiamo messo al centro delle nostre elaborazioni ed è un oggetto del confronto quotidiano con il Governo, con le organizzazioni datoriali, con tutte le forze del Paese. È un modello che parla di futuro e al futuro, quindi parla soprattutto alle nuove generazioni, per loro e di loro. In questo nuovo modello di sviluppo, eco-sostenibile, che mette al centro le persone e il lavoro e un’idea di digitalizzazione come risorsa per il miglioramento delle condizioni di vita e dell’occupazione, non può che essere centrale la scommessa sui bambini e sui giovani. Sulle nuove generazioni, che stanno pagando un prezzo alto di mancata socialità, di assenza di spazi pubblici di convivenza, di reclusione in contesti familiari non sempre accoglienti, non sempre capaci di supplire all’assenza delle agenzie educative pubbliche, talvolta anche luoghi dove è difficile vivere 24 ore su 24 per la presenza di conflitti, disagi, difficoltà economiche.
Sono loro che la Cgil non può lasciare soli in questo momento; è a loro che deve parlare la nostra proposta di una rivoluzione delle priorità con una forte centralità della persona e dei suoi bisogni primari, tra cui la scuola e il diritto all’istruzione sono tra i principali per garantire la partecipazione alla vita democratica del nostro Paese, il coinvolgimento dei lavoratori nella tutela dei loro diritti, il sostegno alla crescita economica e sociale dell’Italia. Per loro la Cgil sta cercando di costruire nuovi ponti e nuove barche per traguardare questo fiume dell’emergenza.
Giuseppe Massafra è segretario confederale della Cgil