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Non c’è reato, non c’è diffamazione. Lo afferma la Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma dottoressa Simona Calegari, disponendo l’archiviazione della denuncia querela che Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, presentò contro Giuseppe Massafra che, in qualità di segretario nazionale della Cgil, tra le altre aveva anche la delega alla legalità.
Il fatto
Il 30 giugno del 2019, sul sito della Cgil, venne pubblicato una dichiarazione di Giuseppe Massafra a commento di un emendamento al Codice degli Appalti a firma Salvini il cui intento era di liberalizzare il più possibile gli appalti, togliendo quelli che il vice presidente del Consiglio riteneva lacci e laccioli alla libertà di impresa. Scriveva l’allora segretario nazionale: “Quella di Salvini non può più essere considerata una follia. È piuttosto un disegno lucido che regala alle mafie e alla corruzione spazi enormi di agibilità”. Questa frase è stata ritenuta da Salvini un’offesa alla sua onorabilità. Ed allora il 30 luglio dello stesso anno fece una denuncia querela sostenendo che “quella dichiarazione presentava i connotati della diffamazione aggravata a mezzo stampa perché i limiti della critica erano stati superati e che rappresentasse un attacco personale infondato”.
Il rischio infiltrazione
Ora va ricordato che la Cgil e non solo, ma anche larghi settori della magistratura e prima fra tutte l’Agenzia nazionale anticorruzione, a prescindere da chi la presieda, da tempo ritengono che controlli e procedure siano indispensabili per arginare corruzione e infiltrazioni delle mafie negli appalti pubblici. Non solo, un’eccessiva liberalizzazione delle procedure mette anche a rischio la sicurezza di lavoratori e lavoratrici, il rispetto dei contratti collettivi di lavoro, la dignità di lavora.
Le indagini
In Italia si sa, in presenza di notizia criminis, tanto più dietro denuncia, c’è l’obbligo dell’azione penale, il pubblico ministero dottor Giammaria ha condotto le indagini e alla fine ha chiesto l’archiviazione sostenendo che quanto affermato da Massafra non fosse configurabile come reato. Anzi, che si dovevano ricondurre ad un “contesto di critica politica nel merito della novità legislativa”.
Bene, si dirà, chiusa la questione così che i magistrati potessero occuparsi di reati veri. Neanche per sogno Salvini non era affatto d’accordo con le conclusioni del Pubblico Ministero e si oppose all’archiviazione chiedendo un supplemento di indagine.
La sentenza
L’ha emessa la dottoressa Calegari lo scorso maggio, pubblicandola a inizio luglio. È netta e chiara, la querela di Salvini è archiviata perché “Massafra, in quanto dirigente sindacale, rappresentava un interlocutore e anche una controparte nel dialogo politico con le istituzioni (di cui Salvini faceva parte) e la frase da lui espressa, seppur aspra e severa, costituisce una mera disapprovazione dell’emendamento proposto. Risulta dunque chiaro che l’opinione si riferisce al testo legislativo e non racchiude alcuna volontà diffamatoria”.
Netta e chiara
Ovviamente è soddisfazione quella che traspare da quanto ci dice Giuseppe Massafra, oggi in prima linea contro il caporalato visto che da Corso di Italia si è trasferito a Latina perché eletto segretario generale della Cgil di Latina e Frosinone. Legalità dunque è ancora una delle frontiere della sua attività sindacale quotidiana. Il ringraziamento di Massafra e del sindacato va all’avvocato Andrea Ronchi che lo ha assistito in questi anni. Soddisfazione, dicevamo, non solo personale ma politica: “Abbiamo detto e continuiamo a sostenere che tutti i tentativi di liberalizzare gli appalti favoriscono l'illegalità. Favoriscono, purtroppo, come abbiamo visto in questi anni, l’intensificarsi degli infortuni con conseguenze estremamente tragiche per chi subisce i processi di esternalizzazione”. Soddisfazione, dunque, che torna impegno: “Continuiamo a confermare quello che avevamo detto all'epoca in occasione della proposta di Salvini del cosiddetto sblocca cantieri: altro non era che un eccesso di liberalizzazione degli appalti”.
Oggi come allora
Da quando Salvini querelò Massafra non solo son passati anni, c’è stato la pandemia e un cambio di ben due governi. Ora a Palazzo Chigi siede Meloni e Salvini è ancora e di nuovo vice presidente del Consiglio e – per di più – ministro delle Infrastrutture. La modifica del Codice degli Appalti l’ha approvata reintroducendo il sub appalto a cascata e alzando - di molto - la soglia dell’affidamento diretto dei lavori senza necessità di gara. La riflessione, allora, di Massafra, è anch’essa netta e chiara: “Confermiamo con ancora più convinzione quanto dicemmo allora, dall'altra parte questa sentenza dimostra che già all'epoca il ministro invece di confrontarsi sulla materialità delle cose, sul merito delle questioni usa lo strumento della sanzione penale per cercare di zittire il sindacato. La sentenza, non solo, stabilisce che quella che noi avevamo affermato era un'opinione politica. Ma attribuisce anche alla nostra posizione valore politico. È un segnale importante, credo che sia utile che l'attuale ministro dei Trasporti eviti di utilizzare lo strumento giudiziario per cercare di mettere il bavaglio al sindacato”.
Limitare la libertà di espressione
In realtà è pratica diffusa quella di utilizzare la denuncia querela per diffamazione per tentare di tacitare le opinioni diverse da quelle di chi ci governa. La utilizzano Meloni e i suoi ministri nei confronti dei giornalisti, dei conduttori televisivi e dei sindacalisti, dimenticando che è l’articolo 21 della Carta ha affermare che la libertà è un diritto costituzionalmente garantito. Ministri e presidente del consiglio dovrebbero saperlo visto che sulla Costituzione hanno giurato.