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Riforma degli ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro. Sono i due temi sui quali è necessario concentrarsi per evitare che questa crisi, frutto anche di problematiche del passato irrisolte, duri all’infinito. Per Andrea Garnero, economista dell’Ocse, interrogato sul futuro più che incerto dei lavoratori, tra crisi di governo e scadenza prossima del blocco dei licenziamenti e degli ammortizzatori Covid, individua in due temi, cari al sindacato, la strada da tentare.
Ho un dubbio eterodosso ed è quello che il provvedimento sul blocco dei licenziamenti sia ridondante - afferma Garnero -. Il motivo della domanda è che l’Italia è l’unica ad avere questo genere di divieto, generale per tutte le imprese, diversamente dai Paesi vicini che però non hanno visto un’esplosione dei licenziamenti. Basti vedere Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Potrebbe bastare la cassa integrazione a costo zero per le imprese, che, se possono scaricare i costi, non si capisce perché dovrebbero licenziare.
La differenza con gli altri Paesi non potrebbe risiedere nella qualità della nostra classe imprenditoriale?
Difficile esprimersi scientificamente su questo tema. Certamente però il tessuto imprenditoriale è più debole, perché è composto da tante piccole imprese anche a gestione familiare, quindi non al top degli standard manageriali mondiali. Aziende che erano deboli prima della crisi e quindi molto esposte. Per le grandi imprese, se possiamo individuare un problema è quello delle competenze dei datori di lavoro: si parla sempre di competenze dei lavoratori, ma mai di quelle degli imprenditori.
Quindi molto pesa la situazione preesistente delle nostre imprese e delle nostre politiche?
Il divieto di licenziamento frena un problema contingente, ma non lo risolve. Che sia il primo di aprile, di luglio o di dicembre – e magari di chissà quale anno - i nodi verranno al pettine. Se Whirlpool o un’altra azienda non vuole più produrre aspetterà il momento giusto, ma il nodo verrà al pettine. Questo non significa che in assenza del blocco non ci sarebbero stati licenziamenti, ma magari i numeri sarebbero stati come in un anno normale. È stata una risposta immediata di stampo sociale e politico per non aggiungere ansia ad ansia, sapendo che l’Italia non ha ancora gli ammortizzatori a regime, perché la Naspi ha dei buchi, il reddito di cittadinanza ha dei buchi, senza dimenticare che non esistono politiche attive del lavoro. Da febbraio a oggi il dibattito è stato solamente come e quanto rinviare e basta. C’è stato uno tsunami, quindi salviamo il salvabile, ma diamoci una prospettiva, bisogna pensare alla ricostruzione. I circa 400 mila posti persi non torneranno più, quindi ora servono tavoli per la creazione di lavoro dove le parti si parlino.
La riforma degli ammortizzatori sociali e le politiche attive si rivelano quindi il vero cardine per trovare una via d’uscita?
Oggi chi sta in Cig non solamente guadagna pochissimo e non può fare nemmeno un altro lavoro per integrare le sue entrate, cosa che non è in altri Paesi dove invece si possono cumulare i redditi. Parlavamo di ‘divano’ quando si dibatteva del reddito di cittadinanza, ma noi il divano a questi lavoratori lo stiamo imponendo, mentre credo che nessuno voglia rimanere sdraiato sul divano a non fare niente. Le politiche attive non ci sono e su questo abbiamo accumulato un ritardo pluridecennale, con situazioni diseguali nelle diverse aree del Paese, abbiamo anche perso del tempo a parlare dei navigator. Quello che mi preme è che non siamo in grado di fornire assistenza alle persone che cercano lavoro e questo non vuole dire inserire i disoccupati in una lista, ma fare politiche attive. Se perdo il lavoro devo avere a disposizione una figura di riferimento che mi indirizzi, che mi dica come fare un curriculum, che mi prepari per un coloquio, che mi spieghi dove andare a cercare lavoro oppure cosa devo fare per riconvertirmi. La sfida è difficile ma non impossibile.
Il Piano nazionale di resilienza e ripresa contiene gli elementi necessari per andare nella direzione che lei sembra auspicare?
Il Pnrr cita ciò che non poteva non citare, formazione e politiche attive, ma non va nel dettaglio e soprattutto non risolve una cosa chiave: non dice come mai da oggi alcune cose si fanno, mentre fino a oggi non si sono fatte. La parte sul lavoro è striminzita, benché sia stata promessa la riforma degli ammortizzatori sociali e nonostante ci sia un grande caos su quelli esistenti. Bisogna ripensare agli ammortizzatori del 21esimo secolo: è una priorità ed è da discutere con la Commissione europea così da inserirla nel Piano, perché risponde agli obiettivi del Next generation Ue. E’ difficile, ma bisogna provarci. La ripresa potrebbe essere vicina, ma ci sono persone che è da un anno che sono a casa a fare niente: è questo che offriamo a queste persone? È così che li proteggiamo? È così che segnaliamo la cura che abbiamo di loro? So che non esiste per questo una bacchetta magica, ma non c’è nemmeno una discussione. Bisogna tentare, perché non basta andare in difesa, serve anche attaccare.