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Puntata n. 28 - Cgil Cisl Uil continuano la mobilitazione con la seconda piazza, quella di Milano, per chiedere un fisco più equo, lo stop alla precarietà e un sostegno a salari e pensioni erosi dall'inflazione. Di fronte all'ennesima crisi, c'è almeno un motivo per sorridere: il Napoli ha conquistato il suo terzo scudetto a distanza di 33 anni dall'ultimo
Napule è
Domenica scorsa, 7 maggio, lo abbiamo scoperto quasi per caso, è stata la Giornata mondiale della risata. Ormai una giornata mondiale non si nega a niente e nessuno, ma davvero ci siamo fermati a riflettere su quello che ci circonda. Guerra, armi, violenza, povertà, razzismo, discriminazione, fascismo, lavoro minorile, lavoro svilito, mal pagato, persino schiavitù. C’è poco da ridere, verrebbe da pensare. Eppure c’è sempre un motivo almeno per sorridere. A questo giro scegliamo lo scudetto che torna a Napoli dopo 33 anni. Per il gioco a tratti irresistibile. Per l’esplosione di gioia che ha provocato in città. Per quel murales di Maradona nei Quartieri Spagnoli, un luogo senza tempo diventato meta di pellegrinaggi. Non ce ne voglia nessuno, nessun altro tifoso, ma una notizia così rientra di diritto tra il meglio dell’anno più che della settimana. La nottata è passata. Ci sono voluti 33 anni, ma questo cielo terso, azzurro come la maglia del Napoli, riscalda il cuore.
Una nuova stagione
Continua la mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil, una marcia a tappe forzate che è partita sabato a Bologna, dove decine di migliaia di lavoratori hanno invaso pacificamente le strade del centro città e Piazza Maggiore per dire no alle scelte politiche del governo più a destra della storia repubblicana. Per sostenere lavoratori e pensionati che portano sulle spalle il peso dell’inflazione e dell’ennesima crisi, per chiedere una riforma del fisco che sia equa, per arginare il fenomeno della precarietà e la piaga dei bassi salari che stanno impoverendo il Paese. L’appuntamento domani è a Milano con le regioni del Nord, poi, sabato 20 maggio, l’ultima data sarà a Napoli.
Mamma right
Il governo mette le mani sul servizio pubblico televisivo. Giro di valzer di direttori, giornalisti e artisti per raccontare il grande palinsesto made in Meloni. Il sassolino del direttore di Collettiva, Stefano Milani
È complicato per chi fa il mio mestiere sintonizzarsi ogni giorno su un qualsiasi telegiornale della Rai e non sentire l’ulcera borbottare. Rimanere interdetti mentre fuori piove copiosamente ma dalla tv splende un sole rassicurante. La crisi è alle spalle. L’Italia è tornata leader in Europa. Le tasse si sono azzerate. I poveri pure. Il lavoro quanto ne vuoi. Degli sbarchi nemmeno l’ombra. I ristoranti sono pieni. Il Ponte è già sullo stretto. Il futuro è radioso. Per carità, da che mondo e mondo chi ha il potere politico detiene e manipola anche quello mediatico. Un controllo a tappetto dell’informazione per diffondere il verbo della propaganda. Funziona così dai tempi dei sumeri. E poi un giro di giostra sulla tv pubblica non si nega proprio a nessuno. E naturalmente chi sale sul calcinculo impazzito di viale Mazzini si porta dietro i suoi cavalli di razza. Chi Enzo Biagi e chi Pino Insegno.
Se un banchiere vale quanto 86 lavoratori
Tale è il divario salariale. La retribuzione media lorda annua dei primi 5 top manager delle banche italiane nel 2021 ha toccato 3,8 milioni di euro, una cifra pari a quella che guadagnano 86 lavoratori messi insieme, prendendo come riferimento il salario medio lordo annuo di circa 44.475 euro. A denunciarlo un report dell’Ufficio Studi della Fisac Cgil, la federazione che rappresenta i lavoratori del credito, sui risultati di bilancio 2022 dei primi 7 gruppi bancari nazionali. E così, mentre continua inesorabile la contrazione delle filiali (-3,6%) e dei dipendenti bancari (-4,3%), gli azionisti si spartiscono una torta che vale oltre 10,5 miliardi di euro, accumulati nel biennio grazie alla crescita della redditività. Chissà dove finiranno gli introiti legati all’impennata degli interessi dei mutui variabili. Chissà.
Fuori casa
Da Milano a Palermo, Collettiva vi racconta il mercato immobiliare fuori controllo, specchio di una società jungla che ormai discrimina ed emargina coloro che dovrebbero essere aiutati e che stanno rapidamente diventando maggioranza. Già, perché le persone normali, quelle che per vivere han bisogno di lavorare, hanno sempre più difficoltà a permettersi una casa. I rincari del prezzo dell’elettricità e del gas, gli effetti dell’inflazione – che ha fatto schizzare la spesa per i beni di prima necessità –, un tasso di disoccupazione che supera il 20 per cento, interessando soprattutto donne e giovani, e una quota di inattività che cresce. Sono le emergenze di cui soffre Palermo, dove i redditi sono bassi e il lavoro sommerso e grigio non arretra: il salario medio lordo è di circa 21 mila euro l’anno, oltre il 30 per cento dei contribuenti dichiara meno di 10 mila euro, il 24 per cento guadagna tra i 15 e i 26 mila euro. Ma in centro e zone limitrofe per un monolocale si sborsano 500 euro.