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Se dovessimo raccontare Napoli usando il nuovo vocabolario della pandemia, potremmo dire che il Covid si è abbattuto su un organismo che soffriva di patologie pregresse. E adesso rischia di colpirlo a morte. In un magma di ritardi organizzativi e omissioni politiche che potremmo ascrivere al sonno della ragione. E il sonno della ragione, anche in questo incantevole e stressatissimo golfo, ha generato i mostri. Quelli della rabbia sociale, della protesta disperata, del grido di aiuto che, a forza di disperdersi nel vuoto, diventa denuncia e infine devastazione. Le vetrine in frantumi e le auto in fiamme non sono altro che i sintomi di una malattia che da tempo tutti tracciano e nessuno cura.
“Quello che è stato sottovalutato a livello generale – ci ha detto il sindaco, Luigi De Magistris – è che la pandemia sociale era assolutamente prevedibile. Come lo era il contagio criminale. Se non arriva liquidità in tempi rapidi, la camorra è dietro l’angolo. E adesso che sappiamo che l’autunno è peggio di marzo e aprile, questa città, che vive molto di economia circolare e di nero, senza soluzioni concrete e con la gente più depressa, esasperata, fragile, preoccupata, che non si aspettava la seconda ondata, è di fatto una polveriera pronta a esplodere”. Qui la minaccia di un nuovo lockdown, che a detta degli esperti appare sempre più inevitabile, non si attenua con i bonus. Perché il sommerso non lascia tracce e non prevede ristori. Perché spesso anche chi lavora con contratto regolare – di recente su Collettiva abbiamo pubblicato la testimonianza di una cameriera d’albergo – è ancora lì che aspetta di ricevere gli ammortizzatori del primo lockdown.
Un sintomo di questa pandemia sociale è quel capannone di via Argine, gloria e vanto per sessant’anni dell’élite manifatturiera partenopea che ha sfornato le migliori lavatrici del mondo, tramandando, di marchio in marchio, fino alla storia recente targata Whirlpool, una conoscenza del prodotto e una capacità di dargli vita uniche. Gente cresciuta a pane e lavatrici, si racconta di quelle tute blu, dove i figli hanno preso il posto dei padri dando vita a una dinastia operaia che domani, salvo miracoli, troverà le macchine ferme e la produzione bloccata. Immagine plastica di un territorio con straordinarie potenzialità, tutte, puntualmente, frustrate e inespresse. I sindacati hanno chiesto per mesi il rispetto degli accordi del 2018, che disegnavano investimenti e prospettive ben lontani dalla chiusura. E la mobilitazione è stata intensa e ha coinvolto tutte le istituzioni. “In questo momento – ci dice De Magistris, che sarà domani all’assemblea convocata dagli operai – il governo, proprio perché la rabbia sociale monta, avrebbe un’occasione per dare un segnale che attenui l’esasperazione. Dovrebbe far valere il suo peso nei confronti della multinazionale, ricordando l’eccellenza degli operai e di una fabbrica fiore all’occhiello del gruppo, con un accordo sindacale firmato e che va rispettato, e mettendo sul campo, se serve, anche il sostegno finanziario che ci vuole”.
Per finire al sintomo di una catena dei contagi che appare senza fine e che fa di Napoli, dopo Milano, la città in cui il virus cresce più rapidamente. Prove ne sono le denunce degli operatori sanitari dell’ospedale Cardarelli, dove non c’è più tempo e spazio per chi non è ammalato di covid. Si allungano le liste di attesa, si cancellano interi reparti, si sospende, per manifesta impossibilità, il diritto alla cura e alla salute in nome di un’emergenza sanitaria che è ormai emergenza strutturale. Tra mancate nuove assunzioni promesse ed evaporate nella canicola estiva e protocolli mai davvero messi a punto, che adesso espongono a un rischio enorme medici, infermieri e personale. Uno tsunami di violenza inaudita abbattutosi su una città e una regione in cui la struttura sanitaria scricchiolava ben prima della pandemia. E adesso rischia di cedere coprendo sotto una coltre nera i mille colori di Napoli.