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È preoccupante la situazione che emerge dalla rielaborazione dei dati sui salari delle lavoratrici e dei lavoratori milanesi a cura della Camera del Lavoro. Ne parliamo con Massimo Bonini, segretario generale della Cgil di Milano.
Questo quadro di disuguaglianze non vi sorprende.
Da anni denunciavamo che a Milano si andava a due velocità e c’era un aumento delle diseguaglianze dettato dalle dinamiche del mercato del lavoro. Nella città terziarizzata si è diffuso il fenomeno del lavoro povero, precario, intermittente. Questa realtà condiziona le possibilità di costruirsi una vita, di comprare casa, di fare figli. È un’ipoteca sul futuro. Se ci affianchi un modello di sviluppo basato sulla corsa al pil e alle speculazioni immobiliari crei una divaricazione incredibile, che marginalizza tutti coloro che non sono messi nelle condizioni di tenere il passo. Il dato che ti dimostra quanto è aumentato il reddito dei dirigenti rispetto a quello di tutte le altre figure di lavoratori è un’evidenza di cui la Cgil parla da tempo. È questa la nostra preoccupazione principale. E questa situazione, più in generale, determina l’espulsione di una parte delle persone dalla città. Persone che non hanno accesso alla casa, alla sanità, ai servizi pubblici e alla mobilità. Una situazione che, temo, continuerà ad far crescere la rabbia sociale nelle periferie e il distacco di una parte della città. Del resto a ottobre scorso la metà dei milanesi non è andata a votare per il sindaco. Un dato senza precedenti.
Da poco avete firmato con le istituzioni, il governo e gli attori sociali un Patto per il Lavoro per Milano. È un tentativo di reagire a questa situazione?
Il patto ha sicuramente buone intenzioni, ma un patto territoriale non può influire su dinamiche salariali, determinate dalla fiscalità e dalle scelte del governo. Il patto ha avuto però il merito di richiamare il tema del buon lavoro. Dentro c’è l’obiettivo del contrasto alla precarietà e il tentativo di enunciare che cosa sia il buon lavoro.
Cosa vi preoccupa di più dei dati emersi?
Non ci aspettavamo gap di tali proporzioni a Milano. E fa male leggere i numeri del divario di genere, perché il lavoro femminile e la parità di salario sono un volano di positività economica e sociale.
Cosa si deve fare e cosa può fare il sindacato per cambiare le cose?
Occorre agire su tre fronti. Due di carattere nazionale. Quello dei rinnovi dei contratti, in cui è presente ancora la regola del famoso indice Ipca depurato dai costi energetici che deve essere riallineato, e quello della fiscalità, sul quale bisogna insistere con il governo. Il terzo fronte è continuare a promuovere sul territorio un modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale: non la Milano da bere che ha moltiplicato questi problemi, ma una città in cui crescano coesione sociale, servizi sociali, sanità, si estenda l’intervento pubblico. Occorre una doppia azione, nazionale e locale, per le politiche abitative sostenibili, visto che dal ceto medio in giù si fa fatica a trovare casa. Ormai a Milano a parlare di “case popolari” sembra di dire una parolaccia. E invece è fondamentale tornare a investire in questo ambito.