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Un manifesto per chiedere la messa al bando di Pfas e Pfoa, sostanze chimiche artificiali che inquinano in modo persistente l’ambiente e l’acqua e intossicano le persone. Stilato da una rete di associazioni ed enti italiani, tra cui Cgil Vicenza, Isde, Legambiente, Pfas.Land, Italia Nostra, Greenpeace, e condiviso a livello europeo da 122 organizzazioni, è stato presentato alla Camera dei deputati per sollecitare l’approvazione di una legge che ne “vieti la produzione, l'utilizzo e la commercializzazione”.
Settimana stop Pfas
L’iniziativa rientra nell’ambito della settimana di sensibilizzazione, azione culturale e memoria organizzata in concomitanza con un momento cruciale del processo contro la Miteni, produttrice di Pfas nello stabilimento di Trissino, che si sta celebrando in corte d’assise a Vicenza, a dieci anni dalla scoperta della contaminazione della seconda falda acquifera più grande d'Europa, venuta alla luce nell’estate del 2013 con una ricerca realizzata dal Cnr e uno studio dell’Isde-Enea.
L'uso diffuso delle sostanze poli e perfluoroalchiliche ha creato un'eredità tossica irreversibile di inquinamento globale, che colpisce le comunità perché i Pfas si accumulano nel nostro corpo, rappresentano una minaccia per la salute umana, l’acqua potabile, la biodiversità. Nonostante la loro tossicità sia confermata da numerosi studi e siano associati a molte malattie, tra cui alcune forme tumorali, sono ancora prodotti, usati, commercializzati in tutto il mondo. Stiamo parlando di sostanze impermeabilizzanti che non esistono in natura e che hanno un impiego vastissimo, dalle padelle antiaderenti alle giacche.
Una legge per vietarli
Una normativa ad hoc molto restrittiva ce l’ha solo la Danimarca, che ha da poco recepito la direttiva Ue sull’acqua, fissando il limite di 2 nanogrammi a litro di Pfas, e ne ha vietato l’uso nei packaging: decisioni prese per scongiurare il contagio della catena alimentare. “Ma ci sono iniziative simili alla nostra in altri Paesi europei – spiega Giampaolo Zanni, segretario generale Cgil Vicenza -. Ai deputati abbiamo illustrato i principi che dovrebbe contenere una legge nazionale in materia. E per venerdì 26 maggio abbiamo organizzato l’evento ‘Pfas lavoro avvelenato – Formula di un disastro invisibile’ ad Argignano (Vicenza), durante il quale verrà proiettato il docufilm realizzato dalla Cgil per la regia di Gianni Poggi, a cui interverranno avvocati, medici, attivisti del movimento No Pfas”.
Dagli Usa all’Italia
In questi giorni l’avvocato statunitense Robert Bilott che ha scoperchiato il primo caso al mondo di contaminazione da Pfas, conosciuto per le class action contro la DuPont in rappresentanza dei querelanti della Virginia Occidentale e dell’Ohio, ha deposto come teste dell’accusa al processo Miteni. Le sue parole hanno aperto uno squarcio sul passato. La vicenda appartiene alla storia delle produzioni industriali in questo settore.
La DuPont acquistava i Pfoa da 3M, Miteni e altri fornitori. Dopo uno studio effettuato nel 1999 sugli effetti di queste sostanze sulle scimmie, da cui emersero i gravi danni causati, la 3M decise di bloccare la produzione. Quindi la Dupont, rimasta senza fornitore, chiese a Miteni “se avrebbe continuato a fornire il Pfoa – afferma Billott durante il processo -. La Miteni ha confermato e addirittura detto che avrebbe incrementato la produzione”.
Miteni sapeva
Già nel 2000 quindi, 13 anni prima che scoppiasse il caso nel Veneto (tre province coinvolte, 350 mila persone in totale e 500 lavoratori), Miteni sapeva della pericolosità di queste sostanze chimiche, sapeva l’azienda e sapeva anche il medico aziendale che periodicamente sottoponeva i dipendenti ad analisi del sangue.
“Si tratta di affermazioni di cui dovranno tenere conto anche i giudici che l’8 giugno decideranno se accogliere la richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, a cui ci siamo apposti – conclude Zanni -. Il filone d’indagine è quello avviato nel 2020 su esposto presentato da Cgil e Filctem Vicenza, sui danni alla salute dei lavoratori della Miteni e le responsabilità di chi avrebbe dovuto controllare. Danni alla salute sui quali ormai non c’è più alcun dubbio”.