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L'esperienza di E.V.A. è paradigmatica di come si possa, dal basso, con determinazione, costruire percorsi capaci di dare risposta a differenti questioni sociali che è urgente affrontare. Anzitutto la questione di genere, che va oltre il tema della violenza e di cui si fa un gran parlare pur agendo assai meno. Anche nell'ultima bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza si parla tanto di prospettiva di genere, si accenna alla volontà di adottare un gender mainstreaming come criterio di valutazione di progetti e politiche, ma nel frattempo si continua a non investire nel rafforzamento dei centri anti-violenza, non si promuove la parità di accesso economico e sociale delle donne, non si mette su un piano nazionale straordinario di sostegno al welfare e di formazione che incentivi l'occupazione femminile. Ancora prima (e ancora peggio) non si levano condanne unanimi e definitive contro posizioni discriminatorie ed espresse in spregio della dignità umana come quelle di Pillon, che non dovrebbero avere cittadinanza in un Paese civile.
Ad incaricarsi di mettere in pratica politiche di genere continua dunque ad essere la società civile, attraverso iniziative come quella di E.V.A. Ma la storia della cooperativa racconta anche altro: racconta, ad esempio attraverso la storia di Casa Lorena, anche il recupero e della messa a valore del patrimonio immobiliare pubblico, in particolare di quello confiscato alla criminalità. Di come si possa ribaltarne il destino restituendo questi luoghi alla comunità, ad una funzione sociale, facendone risorsa collettiva e spazio di inclusione. Anche su questo purtroppo, va sottolineato il ritardo della politica.
Per dare un elemento, a Roma è stato approvato tre anni fa il regolamento per l’assegnazione e l’utilizzo sociale dei beni confiscati, attraverso l'istituzione di un forum a cui avrebbe potuto partecipare – orientandone le decisioni – anche la società civile (associazioni, cooperative sociali, parrocchie, sindacati, realtà dell'antimafia). Nonostante dovesse essere istituito entro 6 mesi, ancora oggi non se ne vede l'ombra: non è un caso che proprio nei giorni scorsi, il 16 marzo, le associazioni si siano convocate per un sit-in di protesta in Campidoglio.
Casa Lorena inoltre, va sottolineato, presta molta attenzione non solo all'assistenza psicologica e legale ma anche all'inserimento socio-lavorativo delle donne che arrivano al centro, ad esempio producendo conserve con i prodotti del territorio. Anche questo aspetto – donare una seconda opportunità di vita e di lavoro alle persone, assieme alla nuova finalità restituita a luoghi spesso abbandonati – racconta un aspetto che dovrebbe qualificare la transizione da un modello sociale ed economico lineare a quello circolare: l'inclusione sociale, il valore territoriale, la riqualificazione delle lavoratrici e dei lavoratori, oltre che di palazzi e spazi chiusi.
Sottolineo questo aspetto perché credo fermamente che ci sia bisogno di riempire di senso e di valore sociale il paradigma dell'economia circolare, per evitare che diventi – come avrebbe detto Luciano Gallino – terreno di cattura cognitiva delle major della dark economy, nel nostro paese come a livello globale”.
Marica Di Pierri è giornalista, ricercatrice e attivista sui temi ambientali e climatici. Direttrice della testata EconomiaCircolare.com