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Carenza "cronica" di personale, pensionamenti, mancato cambio generazionale: problemi, incancreniti dalla pandemia, ai quali ora si sopperisce sulla carta, aumentando il bacino di ogni medico di base da 1.500 a 1.800 pazienti.
"Tutti capiamo le ragioni di questa decisione, quel che non vogliamo è che una situazione emergenziale si trasformi nella normalità", commentano Elena Di Gregorio, Tina Cupani e Debora Rocco, segretarie generali dei sindacati dei pensionati Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil Veneto, "i problemi di oggi hanno radici lontane, dagli errori di programmazione sui numeri degli specialisti, alla non piena attuazione delle medicine di gruppo. A soffrirne non sono solo i medici al lavoro oggi, messi sotto grande pressione dalla gestione del Covid, ma l'utenza più anziana che ha in essi dei punti di riferimento ormai non più certi".
Per gli anziani, infatti, il rapporto con il proprio medico sta diventando sempre più complicato: con la pandemia l'uso massiccio di diversi canali tecnologici, che pur sta tenendo in piedi molti servizi, genera distanza tra questo tipo di assistiti e il professionista, limitando i contatti diretti, la prevenzione e la cura. Una distanza che, aumentando i carichi sugli specialisti, rischia di aggravarsi.
"Il momento storico è straordinario, e siamo ben coscienti che i bandi si fanno, ma partecipa un numero insufficiente di specialisti a coprire i posti - continuano le sindacaliste,- noi pretendiamo tuttavia un intervento serio per ridefinire la sanità territoriale e di prossimità, investendo sulla medicina di gruppo, sull’assunzione diretta da parte delle Ulss dei professionisti, sull’infermiere di famiglia: le risorse del PNRR saranno determinanti per attuare una rivoluzione che corrisponde al disegno di sanità che noi sindacati chiediamo da tempo. La pandemia ci ha dato drammaticamente ragione". Le tre sigle di categoria, quindi, chiedono di partecipare al tavolo di confronto che la Regione aprirà sulla medicina territoriale.