All’inizio gran parte del Paese li ha lasciati indietro, li ha abbandonati. Convinta con cinico sollievo che il Covid colpisse solo gli anziani. Impietosamente sollevata dal fatto che le statistiche, ancora oggi, rivelano percentuali di mortalità tra gli over 65 spaventose se confrontate con quelle di tutte le altre fasce di età. Un report pubblicato lo scorso primo marzo dall’Istituto Superiore di Sanità ci dice che, a quella data, su un totale di poco più di 96 mila persone decedute in Italia a causa del virus, più di 90 mila avevano oltre 60 anni. Di queste, 40 mila avevano un’età compresa tra gli 80 e gli 89 anni.
Il caos in cui la prima ondata della pandemia ha gettato il Paese ha colpito tutti, senza distinzione, ma mentre i più giovani hanno potuto reggere la forza dell’impatto, i più vecchi e fragili sono stati travolti. L’incertezza politica e l’impreparazione a gestire un’emergenza di questa portata ha generato mostri come la tragedia di molte Rsa, dove migliaia di residenti sono morti spesso per mancanza di protocolli, competenze o semplici dispositivi di protezione individuale. Sono morti per l’incuria di chi avrebbe dovuto prendere decisioni rapidamente e non lo ha fatto. O sono sopravvissuti in una bolla che ha rischiato di soffocarli per la mancanza, quasi altrettanto letale, di contatto umano e di affetto. In Lombardia la donazione delle stanze degli abbracci da parte dello Spi Cgil regionale ad alcune Rsa ha fatto emergere le storie di coniugi che non si sono potuti incontrare anche per un anno intero o di anziani ospiti che hanno rivisto i figli o i nipoti dopo mesi. Storie che ci hanno commosso ma che ci hanno anche imposto una domanda: com’è possibile che questo Paese abbia lasciato soli i propri anziani, i nonni, i genitori, la propria memoria?
L’arrivo dei vaccini avrebbe dovuto essere l’occasione per dare una svolta, provare a limitare i rischi, salvare gli anziani. E invece, ancora una volta, soprattutto in alcune regioni, alla prova dei fatti la risposta delle istituzioni e dei soggetti che se ne dovevano occupare - la politica, in ultima analisi - è stata deludente al limite dell’insulto. Basta citare le scuse che l’Assessora al Welfare lombardo Letizia Moratti ha rivolto pubblicamente agli anziani in una recente intervista, ammettendo di fatto il disastro di una campagna vaccinale che, in quella regione - ma non è la sola - farebbe quasi ridere se non costasse, per ogni ritardo e disservizio, migliaia di vite, soprattutto di anziani, a settimana.
Di fronte a tutto questo molti di loro non si sono persi d’animo. Hanno reagito, come tante altre volte nella loro lunga esperienza di vita. E ci hanno dato l’ennesimo insegnamento: quello della solidarietà, dell’umanità e dell’attenzione verso i più fragili. Il sindacato, come spessissimo accade, ne è stato un esempio, attraverso l’impegno dello Spi Cgil, che rappresenta i pensionati, e dell’Auser, l’Associazione per l’invecchiamento attivo, costituita dalla Cgil e dallo Spi. In prima linea insieme ai servizi, i Caaf e l’Inca, e alle altre categorie.
Cerchiamo di raccontarlo in questo video, che idealmente vuole rappresentare quello che la Cgil sta facendo in tutta Italia, territorio per territorio. Tra decine di province abbiamo scelto l’estremo nord di Lecco, il centro con Perugia e il profondo sud di Catania per mostrarvi le immagini dei volontari dell’Auser che accompagnano gli anziani a fare il vaccino o li aiutano con consulenze telefoniche sempre attive, e per farvi ascoltare le parole dei segretari dello Spi Cgil. È un piccolo racconto per un grande gesto di solidarietà offerto alla collettività. Che si ripete, ogni giorno, in decine e decine di province lungo lo Stivale.
Il Paese si è dimenticato degli anziani nell’ora più difficile, gli ha voltato le spalle come un figlio egoista. Loro no, non si sono dimenticati del Paese e, come fanno spesso i nonni, hanno mostrato il loro volto migliore di fronte a un gioco sporco, offrendo un gesto d’amore e un segno di speranza. Gettando il loro vecchio grande cuore oltre l’ostacolo.