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Il 13 gennaio 1956 a Venosa, durante uno sciopero a rovescio, un giovane bracciante, Rocco Girasole, viene ucciso dalla polizia. Siamo nella Basilicata degli anni Cinquanta, una terra segnata dalla povertà, dalla disoccupazione, dall’emigrazione.
“Si risponde di nuovo col piombo al Mezzogiorno che chiede lavoro - scriveva l’Unità - La polizia spara sui disoccupati. Un giovane ucciso e altre 6 persone ferite. La carica contro i 300 disoccupati che stavano attuando uno sciopero a rovescio. Un tenente dei carabinieri aveva sconsigliato al commissario di Ps l’intervento. Tra i feriti un vecchio e un tredicenne, in gravi condizioni”. All’episodio farà seguito la repressione giudiziaria. Verranno arrestate 35 persone. Il processo - cominciato il 17 giugno 1957 a Potenza, che coinvolge 27 imputati - si conclude con 12 condanne (in appello i condannati saranno assolti da parte delle accuse.) In totale i braccianti di Venosa sconteranno 19 anni di reclusione.
Ancora oggi i protagonisti di quella giornata ripetono: “Volevamo solo lavorare. Forse per il ministro Tambroni non avevamo quel diritto, non eravamo persone, non eravamo esseri umani”. “La Camera confederale del lavoro - recitava il manifesto funebre - partecipa al lutto dei lavoratori di Venosa per la morte del giovane ventenne Rocco Girasole, martire del lavoro”.
Cinque giorni più tardi, il 18 gennaio, Pajetta, Amendola, Alicata, Bianco, Grezzi e Scappini presenteranno alla Camera dei deputati un'interrogazione parlamentare “per sapere quali misure siano state prese contro il commissario di pubblica sicurezza e gli altri responsabili dell’episodio di criminosa violenza in cui ha trovato la morte il giovane bracciante ventenne Rocco Girasole di Venosa e sono stati gravemente feriti numerosi altri lavoratori, fra i quali due ragazzi di 15 anni e una ragazza diciottenne; e per sapere altresì quali provvedimenti di urgenza si intendono prendere per affrontare la drammatica situazione di miseria e di disoccupazione in cui versano larghissimi strati delle popolazioni meridionali e sulle quali da settimane richiama l’attenzione del Parlamento e del Governo l’esasperata protesta dei disoccupati di ogni regione del Mezzogiorno”.
“La verità - è la triste constatazione di Alicata - è che se si vogliono impedire questi, che sono veri e propri assassini, veri e propri omicidi (come è stato autorevolmente scritto dalla parte più ragionevole della stampa italiana, quella più sensibile a sentimenti di umanità e di giustizia, come la stampa nostra ed anche - lo riconosco - una parte, seppure molto sottile, della stampa cattolica), si deve agire di fronte a questi episodi in modo ben diverso da come vorrebbero coloro che hanno approvato il documento lettoci dall’onorevole Pugliese. La verità è che nessuno di coloro che in tutti questi anni hanno assassinato lavoratori inermi è stato perseguito. Mandate in tribunale, come reo di omicidio, e di omicidio premeditato, il poliziotto che spara sui lavoratori, e vi assicuro che incidenti di questo genere non si verificheranno più, e voi non dovrete più ricorrere alla menzogna delle bombe non in dotazione alla pubblica sicurezza, o delle rivoltelle trovate sul luogo del delitto. Che cosa è accaduto dei procedimenti a carico di coloro che hanno sparato a Melissa, a Montescaglioso, a Torremaggiore, a Modena? Noi non permetteremo che anche questa volta questa ricerca di responsabilità faccia la stessa fine. Per questo noi esigiamo che le indagini sui fatti di Venosa siano condotte seriamente e fino in fondo da un organismo che possa svolgerle dando garanzia di imparzialità. Detto questo, non mi posso fermare qui, perché purtroppo l’episodio di Venosa non è un episodio isolato. Pochi giorni prima dei fatti di Venosa, a Rotondella, la polizia è intervenuta: non ha sparato, ma ha lanciato bombe lacrimogene (come del resto ha fatto anche a Venosa prima di iniziare la sparatoria), ha bastonato, ha ferito e contuso numerosi lavoratori. Ieri a Nova Siri, a pochi passi da Venosa e da Rotondella, la polizia è di nuovo intervenuta. Quattro o cinque giorni fa a Melissa - un comune che ella, onorevole sottosegretario, conosce abbastanza bene - di fronte a una manifestazione di gente senza lavoro, un maresciallo di pubblica sicurezza che ella conosce bene perché è del suo paese, di Cirò, ha detto che egli aveva già sparato una volta a Melissa e che se i lavoratori non l’avessero finita con le loro agitazioni, egli sarebbe stato disposto a sparare di nuovo”.
“È ora, signori del Governo - conclude il deputato - di comprendere che ancora una volta ciò che il Mezzogiorno vi grida: giustizia, lavoro e pane! Rispondendo a questo grido con i gas lacrimogeni, con le bastonate, con le raffiche intimidatrici e omicide, voi vi mettete veramente su una cattiva strada. Si tratta, invece, di esaminare a fondo la situazione, di fare un bilancio, di dare un giudizio su ciò che nel Mezzogiorno non è stato realizzato; si tratta di rendersi conto del fatto che ci si è mossi in limiti troppo ristretti e in una direzione sbagliata per quanto riguarda la questione della terra, e che non si sono create ancora delle nuove fonti stabili e permanenti di occupazione. Già qualche preannuncio di questa grave situazione si era avuto l’inverno scorso, e quest’anno esso si è ripetuto in forme aggravate. Vi sono nel Mezzogiorno migliaia e migliaia di braccianti e di operai edili disoccupati. Vi sono migliaia e migliaia di assegnatari degli enti di riforma carichi di debiti e di fame. Forse che quello che ella ha detto, onorevole sottosegretario di Stato, sulla presenza di assegnatari dell’ente di riforma e di lavoratori di tutte le correnti politiche e sindacali fra i dimostranti di Venosa, non sta a dimostrare il carattere unitario del movimento, la natura profonda del disagio che scuote le popolazioni meridionali ? Sono questi, signori del governo, i problemi che bisogna affrontare e risolvere”.
Anche oggi, verrebbe tristemente da dire.