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Puntata n. 29 - L’Italia nel fango. Stavolta non è una metafora, è la pura e dura realtà. Il risultato di ore e ore di piogge torrenziali che hanno finito per distruggere anni di lavoro in Emilia-Romagna, la regione più colpita, e nelle Marche
L’Italia nel fango
Stavolta non è una metafora, è la pura e dura realtà. Il risultato di ore e ore di piogge torrenziali che hanno finito per distruggere anni di lavoro in Emilia-Romagna, la regione più colpita, e nelle Marche. Il bilancio, provvisorio, fa tremare i polsi: vittime, dispersi, feriti, 14 fiumi esondati in più punti, 23 comuni con allagamenti importanti, frane, sfollati nelle campagne, migliaia di evacuati, abitanti costretti a salire sui tetti per mettersi in salvo, case allagate, strade chiuse, persone soccorse a nuoto, treni bloccati. L’Italia nel fango è anche una metafora efficace. Quella di un Paese che ha smesso da tempo di fare i conti con la crisi climatica, di curare il suo bene più prezioso, quel territorio che il mondo ci invidia, fatto di centinaia di chilometri di coste e di catene montuose, di dolci colline, di fiumi, laghi, foreste, ormai preda di feroce deregulation e feroci speculatori. La parola emergenza non basta più a coprire disastri ormai settimanali. Inutile continuare a tacere la verità: che l’Italia la stiamo distruggendo. E di distrazione in distrazione, di condono in condono, di disinteresse in disinteresse, il fango ci è arrivato ai capelli. Qualcuno prima o poi farà qualcosa?
Senza diritto alla casa non c’è diritto allo studio
Roma, Milano, dilaga la protesta degli studenti universitari contro il caro affitti. Accampamenti spontanei di tende stanno spuntando un po’ ovunque davanti alle università italiane. Una meravigliosa dimostrazione di lotta resiliente per il proprio futuro: se non possiamo permetterci un’abitazione e neanche una stanza vicina al luogo in cui studiamo, per riuscire a frequentare i corsi dormiremo in tenda. Il sassolino del direttore di Collettiva, Stefano Milani
Laurea honoris casa
State sempre a lamentarvi, piantatela! Esclamano i politici prezzolati contro gli studenti bamboccioni. E loro l’invito lo hanno preso alla lettera: piantandola davvero. Non una ma decine di tende in tutta Italia. Una distesa di iglù idrorepellenti per manifestare un disagio grosso come una casa. Dimora tanto ambita quanto ardita, meglio se nella stessa provincia in cui si pagano le tasse universitarie e senza lasciare un rene come caparra. Nessuno pretende una camera e cucina con affaccio sulle guglie del Duomo ma neanche condividere il bagno col peggior bar di Caracas. O passare più tempo ad aspettare il tram che il calendario dell’appello invernale. Studiare nella patria del merito è diventato impegnativo. Meglio farsi amico un agente immobiliare che un assistente alla cattedra di fisica quantistica. E il governo cosa fa? Continua a promettere sogni invece di solide realtà.
Matrigna Rai
La favola della tv di Stato, con la destra al governo, prende la solita piega. E tanti saluti a Mamma Rai. Con le polemiche che infiammano, la transizione forzata è tutta calore e monocolore. Nero nero. Perché se tutti i governi da che mondo è mondo la Rai l’hanno lottizzata, i governi di destra tendono a occuparla tipo i visigoti con il sacco di Roma. A metà tra il revanscismo di chi soffre della sudditanza culturale della Sinistra (chissà perché) e l’ansia di creare un’egemonia culturale, impresa parecchio complicata per chi continua a essere antitetico al mondo della cultura. I grandi classici ci sono tutti. L’epurazione con vittime illustri, la prima è Fabio Fazio, cui non è stato rinnovato il contratto, dopo quasi quarant’anni. Senza persino uno straccio di logica commerciale, visto che a “Che tempo che fa” in questi decenni la sfilata dei protagonisti assoluti della nostra epoca - cantanti, attori, politici, scrittori, registi, sportivi, giornalisti, comici, star internazionali – ha portato nelle casse dell’azienda enormi introiti pubblicitari. Chissà che ne pensa il nuovo amministratore delegato Roberto Sergio, che comunque i conti in qualche modo li dovrà far tornare. L’esultanza rozza e sguaiata del “Belli ciao” di un vicepremier, Salvini, rivolta a Fabio Fazio e a Luciana Littizzetto, cui risponde con malinconica ironia Fiorello dai microfoni di Viva Radio Due: “C’è uno bravo e che si fa in Rai? Cacciamolo!”. L’annunciato coming soon di Barbareschi un attimo dopo che l’attore ha minimizzato il me too italiano - “Le attrici non vengono molestate, cercano solo pubblicità” - la dice lunga sulla marcetta su Via Teulada dei nuovi campioni del palinsesto. E questo è solo l’inizio. Chissà come sarà la Rai che ci aspetta, con questa scalpitante e vendicativa maggioranza-Calimero al timone. E chissà chi se la vedrà, visto che per fortuna il telecomando, almeno quello, non ce lo possono requisire. Per ora.
Sotto ricatto
Succede ai lavoratori di decine di punti vendita di Bricofer in Sardegna. Lo stesso lavoro, quello di sempre, ma con meno salario, meno permessi e meno diritti, con un contratto diverso e in una società diversa, ma molto simile a quella di prima. I dipendenti hanno dovuto accettare condizioni al ribasso, pena il mancato passaggio da una società all’altra. Insomma, o firmi il contratto peggiore - non più quello del commercio, siglato dai sindacati più rappresentativi, ma quello Cisal, senza quattordicesima e con un taglio di oltre quattromila euro all’anno - oppure resti senza contratto: queste le condizioni sostanzialmente imposte, da un giorno all’altro, con una comunicazione inviata direttamente ai singoli, senza alcun contatto con il sindacato. Filcams e Cgil sul piede di guerra. Per approfondire collettiva.it.
Tutti in piazza, ancora una volta
Napoli aspetta domani la mobilitazione di Cgil Cisl e Uil, dopo i primi partecipatissimi due appuntamenti di Bologna e Milano. I motivi ve li abbiamo già detti, ve li ricordiamo di nuovo. Un fisco equo che non pesi solo sulle spalle di lavoratori e pensionati e non rischi di tagliare servizi. Salari che siano adeguati all’inflazione. L’eliminazione della precarietà. Ridare futuro e speranza ai giovani, serenità ai pensionati, una vita dignitosa a chiunque per vivere ha bisogno di lavorare. Domani è l’ultima tappa. In realtà questo è solo l’inizio. La mobilitazione non si ferma. I sindacati vogliono risposte. Ci vediamo in piazza.