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Dal decreto anti-rave alla legge contro gli attivisti climatici. Dalla riforma del reato di diffamazione alla revisione di quello di tortura. Dai 54 milioni di persone identificate nel solo 2023 ai provvedimenti-bavaglio che vogliono ridurre le notizie pubblicabili. È l’Italia delle restrizioni della libertà, dove il dissenso non trova cittadinanza e la protesta è da condannare. O anche da prendere a manganellate, come è successo a Pisa e Firenze agli studenti che pacificamente manifestavano per la Palestina nelle strade del centro e sono stati caricati dalla polizia.
Pisa, salto di scala
“C’è una compressione dei diritti di espressione e di manifestazione, un’evidente insofferenza verso il dissenso e una sostanziale incapacità di esercitare la democrazia, perché la forza di governo viene da una matrice fascista – afferma Tomaso Montanari, storico dell’arte, saggista e rettore dell’università per stranieri di Siena –. Quello che è successo a Pisa è un salto di scala: lì non c’era nessuna ragione plausibile per fermare con la violenza gli studenti. L’idea che si possa essere picchiati in qualsiasi momento dalle forze dell’ordine, senza alcun motivo, è un’idea devastante, da Paese sudamericano, che spiega l’intervento del presidente della Repubblica che ha parlato di fallimento e ha umiliato a ragione di fronte alla nazione il ministro dell’Interno”.
Criminalizzazione degli eco-attivisti
I fatti di Pisa sono l’ultimo di una lunga serie di atti, compiuti o anche soltanto annunciati, che vanno nella direzione di restringere le libertà. Per Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, il più grave è la legge contro gli eco-attivisti, chi protesta in nome della giustizia ambientale e denuncia le azioni troppo poco incisive dei governi nel reagire alla crisi climatica.
La norma approvata il 19 gennaio scorso prevede pene estremamente severe, multe dai 10 ai 60 mila euro e reclusione fino a cinque anni, a chi arreca un qualsiasi tipo di danno o modifica a beni culturali o paesaggistici. Anche se le organizzazioni ambientaliste non sono citate è chiaro che la legge sia stata fatta proprio per gruppi come Ultima generazione.
“È preoccupante la tendenza, diffusa anche a livello europeo, alla criminalizzazione dei manifestanti e in particolare degli ecoattivisti, che denunciamo da tempo – sostiene Noury –. La cosa che fa impressione è che chi si batte per dare voce a un problema enorme, cioè il futuro del clima e del nostro Paese da un punto di vista ambientale, venga stigmatizzato e criminalizzato. Di positivo ci sono le posizioni di alcuni giudici che decidono di prendere la strada opposta: applicano la legge ma stabiliscono che c’è un motivo etico importante e così emettono condanne simboliche, con sospensione della pena”.
Decreto anti-rave
La prima norma varata dal governo Meloni è stata il decreto 162/2022, che tra le altre cose mirava a inserire una nuova fattispecie di reato grave nel codice penale italiano, in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali. Dopo le critiche e le proteste avanzate da più parti, è stato circoscritto l’ambito di applicazione.
“Rimane la nostra preoccupazione rispetto a una legge che non ritenevamo necessaria – si legge nel report di Amnesty ‘Un anno di governo Meloni. Sui diritti umani torniamo a chiedere passi avanti’ –, che potrebbe comunque essere soggetta a interpretazioni estensive, lasciando ampi margini di discrezionalità nella valutazione del caso concreto, consentendo la potenziale criminalizzazione di scioperi sindacali, raduni di studenti, ecc.; la legge prevede inoltre sanzioni molto dure rispetto al reato commesso, la reclusione da 3 a 6 anni e una multa da 1000 a 10 mila euro”.
Riforma della diffamazione
Sono ben cinque i disegni di legge presentati nel corso del primo anno di questa legislatura che vogliono riformare la diffamazione a mezzo stampa, cercando un bilanciamento tra la libertà di espressione e la tutela della reputazione. L’innalzamento delle sanzioni e la previsione dell’interdizione dalla professione da uno a sei mesi potrebbero produrre un effetto deterrente sulla libertà di stampa e di espressione.
“Io stesso ho ricevuto una querela dal ministro Lollobrigida per un articolo in cui affermo che il concetto di sostituzione etnica ha origini fasciste e naziste, segnale che ogni forma di dissenso è sgradito – racconta Montanari –. Un tentativo di intimidazione fatto da un membro del governo nei confronti di un cittadino. Siamo in presenza di una deriva delle società occidentali verso un restringimento dello spazio democratico, che non è dell’ultim’ora. La Francia ha proibito le manifestazioni pro Palestina, durante il governo Draghi c’è stata una repressione eccessiva delle opinione contrarie ai vaccini, trattate come un’eresia. In tutta l’Unione europea c’è un movimento anti-russo, della cultura russa, i pacifisti in Italia ed Europa sono trattati come traditori della patria e dell’Occidente. Insomma, c’è un clima pesante di caccia alle streghe. È un errore, il dissenso va sempre accettato”.
Bavagli all’informazione
Poi ci sono gli altri tentativi di mettere bavagli all’informazione. Dopo la riforma Cartabia sulla presunzione di innocenza che sostanzialmente impedisce ai procuratori di dare informazioni sulle indagini, e la stretta di Nordio sulle intercettazioni, è da poco diventato legge il cosiddetto emendamento Costa, una modifica al codice di procedura penale che vieta la pubblicazione delle ordinanze cautelari fino al termine dell’udienza preliminare.
Si tratta di una norma che compromette l'autonomia dei giornalisti rendendo sempre più difficile raccontare indagini e inchieste, con un danno per tutti: i legali di parte, chi è sottoposto alla misura cautelare, i lettori. A nulla sono valse le proteste dei giornalisti che vedono limitato il proprio diritto di informare, e quelle dei cittadini che sanno che avranno meno possibilità di essere informati.
Eccesso di identificazioni
“Ci sono tanti segnali che vanno tutti nella stessa direzione – aggiunge Montanari –, un’Italia illiberale che tenta di silenziare il dissenso. Come nel caso del loggionista della Scala che ha gridato ‘Viva l’Italia antifascista’ di fronte al presidente La Russa e che è stato identificato dalla Digos”.
Uno dei quasi 54 milioni gli italiani che nel 2023 sono stati identificati dalle forze dell’ordine, fermati per strada, alle manifestazioni, ai flash mob ambientalisti o mentre deponevano fiori in memoria dell’oppositore di Putin, Aleksei Navalny, a Milano il 18 febbraio scorso. Un eccesso di zelo preoccupante, specie se si considera che le identificazioni sono state venti milioni in più di due anni fa.
Modifica del reato di tortura
Altro capitolo, la revisione del reato di tortura avviata con la discussione in Senato di un disegno di legge che prevede una modifica migliorativa, ma è stato abbinato a un altro testo che intende abrogare il reato, derubricandolo ad aggravante comune.
“Giorni fa in un intervento al parlamento il ministro della Giustizia ha parlato di modifiche tecniche non meglio precisate al reato di tortura – conclude il portavoce di Amnesty Noury –. Il contenuto è abbastanza fumoso, l’obiettivo è chiaro. Si pensa, anzi si teme un depotenziamento del reato. Quello che si vuole ottenere è che non ci siano indagini per azioni fatte all’interno delle carceri che corrispondono a un esercizio della forza. Quello che constatiamo è una progressiva erosione degli spazi di libertà, che però non è solo di questo governo. Con questo esecutivo c’è un inasprimento delle leggi, una criminalizzazione della protesta, l’introduzione di nuovi reati. C’è un uso sproporzionato della forza in manifestazioni che sono prevalentemente pacifiche, a Pisa e Firenze, a Napoli, a Torino ormai è una prassi. Come è una prassi consolidata la mancanza di un ricorso a tecniche di ‘de-escalation’”.
Codici identificativi
La gestione dell’ordine pubblico è fallimentare e questo riguarda diversi governi, quindi. Amnesty chiede da anni di dotare
di codici identificativi le forze di polizia impegnate in servizi di ordine pubblico. L’Italia è uno dei cinque Stati europei che non ce l’hanno (insieme a Olanda, Lussemburgo, Austria e Cipro), ma sarebbe uno strumento per individuare le responsabilità, isolare i comportamenti criminali, sancire la condotta legittima di tutti gli altri, salvandone la reputazione.