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Con circa 20 giornalisti sotto scorta, con le rivelazioni sui cronisti intercettati dalla Procura di Trapani e poi con le minacce e le querele bavaglio l'Italia si guadagna un poco lodevole quarantunesimo posto al mondo, dopo Namibia, Ghana e Burkina Faso, l'ultimo in Europa per la libertà di stampa. I numeri sono quelli del rapporto di Reporter senza frontiere, pubblicato nella Giornata internazionale istituita dall'assemblea generale delle Nazioni Unite per il 3 maggio di ogni anno.
Il punto di riferimento resta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che all'articolo 19 stabilisce che: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni ed idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo di frontiere.”
In realtà, però, denuncia Reporter senza frontiere: nel mondo l'esercizio del giornalismo, che sarebbe il "vaccino principale" contro la disinformazione, è "totalmente o parzialmente bloccato". Per l'Fnsi, la Federazione della Stampa Italiana, uno dei fattori che limitano la libertà dei giornalisti è l'estrema precarietà del lavoro. Cinque euro per un lavoro instabile che può in alcuni casi costare persino la vita.
Poi ci sono storie come quelle di Nancy Porcia, Nello Scavo, Francesca Mannocchi, Sergio Scandurra, Antonio Massari e degli altri cronisti che sono finiti nelle intercettazioni della procura di Trapani perché si stavano occupando di questioni legate alla Libia e alle attività delle ong. Un caso finito sul tavolo del ministro Cartabia. Perché non è un problema solo della stampa. Senza questa libertà - che è anche diritto di essere informati - manca l'ossigeno alla democrazia. Non ricordiamocene solo oggi che ricorre la Giornata mondiale per la libertà di informazione o quando "il sistema" bussa alle nostre porte. Ricordiamolo sempre.