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Il governo ha sei mesi di tempo per convertire in decreto legislativo la legge bavaglio introdotta con l’emendamento Costa nella legge di Delegazione europea appena approvata dal Parlamento, dopo di che non si potrà più pubblicare le ordinanze di misure cautelari. Insomma i cittadini e le cittadine italiane non sapranno più, qualora davvero la norma entrasse in funzione, le ragioni di inchieste in corso e perché il presunto responsabile di reato verrà arrestato.
Petizione inascoltata
Federazione Nazionale della Stampa, Ordine dei giornalisti, Rete Non Bavaglio hanno promosso una petizione per evitare questa nuova violazione dell’articolo 21 della Costituzione, la raccolta ha già raggiunto quasi 50 mila sottoscrizioni, al momento inascoltate vista la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo. “Questo nuovo atto legislativo rappresenta un grave pericolo per la nostra democrazia e per tutti noi che vorremmo una informazione più libera e di maggiore qualità. Per questa ragione siamo decisi a non arrenderci e a continuare la battaglia contro tutte le norme bavaglio chiedendo l'intervento della Ue che si appresta ad approvare il Media Freedom Act delineando nuove direttive per la tutela della libertà e del pluralismo dell'informazione in Europa”. È quanto si legge in una nota dei promotori della petizione.
Inascoltati in Italia confidiamo nell’Europa
La scelta è chiara, visto che a Bruxelles si sta per approvare il Freedom Media Act, la legge Ue sulla libertà e la trasparenza dei media, a cui il nostro paese dovrà sottostare, la via maestra è quella di lanciare una petizione europea: “Che – prosegue il documento – chiederà all'Europa di esaminare la legge bavaglio introdotta in Italia e di valutarne la compatibilità con i principi europei di libertà di stampa e di informazione. Considerando che la normativa italiana si pone in palese violazione della direttiva Ue 2016/343 sulla presunzione d'innocenza e la libertà di stampa, la petizione europea chiederà, inoltre, all'Europa di formulare un invito alla revisione di questa legge italiana e, se necessario, di avviare una procedura di infrazione europea”.
La Cgil in prima linea
L’Ordine del giorno approvato dall’ultima riunione dell’Assemblea generale della Confederazione di Corso d’Italia, lo afferma chiaramente, i diversi provvedimenti varati dall’Esecutivo per limitare il dovere di informare e il diritto di essere informati, oltre a violare la Costituzione, è parte della strategia che mira a torcere in senso autoritario l’asseto del Paese, mettendo a rischio la democrazia repubblicana e antifascista. Qui sta la ragione che ha portato il sindacato a mobilitarsi al fianco degli operatori dell’informazione. Si legge ancora nel documento dei promotori della petizione: “In Italia, una parte della politica non ha saputo né voluto ascoltare l'appello lanciato da Fnsi, Usigrai, Ordine dei giornalisti e sostenuto da decine di associazioni e organizzazioni: dalla Rete NoBavaglio ad Articolo 21, MoveOn, all'Arci, a Libera a Legambiente fino alla Cgil.
Ma anche da LiberaInformazione, Collettiva e tante altre testate giornalistiche (qui l'elenco delle adesioni). Un appello che grazie alla petizione pubblicata su change.org, ha raccolto in poche settimane il consenso di circa 50mila cittadini. Con firme autorevoli del giornalismo d'inchiesta come: Fiorenza Sarzanini, Carlo Bonini, Lirio Abbate, Riccardo Iacona, Sigfrido Ranucci, Corrado Formigli, Sandro Ruotolo, Marco Damilano, Peter Gomez, Mauro Biani e tanti altri. Alla mobilitazione hanno aderito esponenti del sindacato come Maurizio Landini e anche i principali leader politici della sinistra e dell'area progressista dentro e fuori il Parlamento: Elly Schlein, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Massimiliano Smeriglio, Luigi De Magistris, Ilaria Cucchi, Alessandra Maiorino, Maurizio Acerbo, Marta Collot, Mauro Alboresi. E neppure è valso il pronunciamento di autorevoli giuristi come quello dell'ex vice presidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena.
Quali i rischi da sventare
Cosa sarebbe successo se la norma che si sta provando a fermare fosse stata in vigore? “Difficilmente avremmo potuto essere informati nel dettaglio circa le accuse contenute in indagini importanti come quelle sulle commesse d'oro dell'Anas, sul crollo del Ponte Morandi, sullo scandalo delle toghe e le nomine al Csm, sull'arresto e sulle protezioni di Matteo Messina Denaro, su Mondo di Mezzo, Calciopoli, Lady Asl, sulla speculazione sul terremoto dell'Aquila”. Così come poco si sarebbe saputo su violenze sessuali e femminicidi, ma quelle informazione sono state fondamentali nello spingere le donne vittime di violenza, o i loro figli, a denunciare. I veri obiettivi di queste norme sono precisi, quelli di limitare sempre più la conoscenza cittadini rispetto fatti gravi che emergono in importanti inchieste su corruzione, su malapolitica, imprenditoria, poteri forti, su mafia e colletti bianchi.
Ma mobilitazione non si ferma
La conclusione del documento è in invito a non fermarsi e a individuare tutte le strade per fare rumore: “L'Italia è al 41° posto per libertà di stampa nel mondo: quante posizioni siamo disposti ancora a perdere? Noi crediamo che una forma matura di democrazia debba favorire e non limitare la possibilità di accedere e di verificare informazioni e notizie. Per questa ragione, guardando all'Europa, abbiamo deciso di rivolgere una nuova petizione alla Ue al tempo stesso stiamo valutando modi e tempi, per tutelare le prerogative dell'articolo 21 della Costituzione, per ricorrere alla Corte Costituzionale e alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo”.