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Vittima di una banale caduta in bicicletta, nell’agosto 2006 Bruno Trentin viene ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Bolzano. Morirà esattamente un anno dopo, il 23 agosto 2007, stroncato da una polmonite resistente alla terapia antibiotica.
“Scompare un grande protagonista delle battaglie del mondo del lavoro - sarà il commento alla notizia dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - del processo di autonomia e unità del sindacato, della storia democratica del Paese”.
“Si può dire - affermava quel giorno Guglielmo Epifani - che non c’è pagina nella storia della Cgil e del movimento sindacale italiano in cui non sia stato protagonista. Il Piano per il lavoro, la programmazione economica, la centralità del Mezzogiorno, le lotte operaie dell’autunno caldo, la stagione del sindacato dei diritti, gli accordi fondamentali del ’92 e del ’93”.
Nato nel 1926 in Francia, partigiano, azionista passato successivamente nelle fila comuniste e dottore in giurisprudenza, Trentin entra giovanissimo, chiamato da Vittorio Foa, nell’Ufficio studi confederale (“La mia vocazione - dirà - era quella di fare il ricercatore, ma in un mondo vicino, il più vicino possibile a una realtà con la quale mi sentivo totalmente solidale, il ricercatore al servizio di un movimento, e il sindacato mi sembrava l’osservatorio, se così possiamo dire, della condizione operaia più forte”).
Qui conosce Giuseppe Di Vittorio, di cui apprezza la dimensione umana, la statura politica, l’idea originale del sindacato come soggetto politico autonomo e plurale, espressione della volontà delle masse più povere e diseredate di liberarsi da ogni forma di sfruttamento (Bruno riavvolge il filo della memoria nell’ultimo tratto del suo impegno e della sua vita, e lo fa proprio attorno alla figura di quello che considerava non solo un grande dirigente sindacale ma anche un grande dirigente politico. “Riconsiderare la storia della Cgil di Di Vittorio dal 1945 ad oggi - scriverà nell’ultimo dei suoi diari - sotto un nuovo punto di vista, quello della ricostruzione faticosa e contrastata di un sindacalismo non corporativo e di un sindacato che si prospetta come un soggetto politico non subordinato ai partiti ma capace di dialogare con loro in ragione della sua autonomia politica e culturale, riconoscere l’autonomia dei processi unitari nel sindacato ma anche la portata che questi processi possono avere per lo sviluppo dell’Italia repubblicana e la difesa della nostra Costituzione. Questo vuol dire rimettere Giuseppe Di Vittorio al suo posto nella storia politica e sociale del nostro paese”).
Dopo una breve esperienza nella Segreteria confederale, Trentin costruisce la sua immagine di leader sindacale di successo con la lunga e autorevole direzione della Fiom, protrattasi dal 1962 al 1977, anno in cui entra di nuovo nella Segreteria Cgil.
Sulla spinta delle lotte studentesche e operaie del biennio 1968-1969 il suo impegno è principalmente volto ad affermare l’esperienza del sindacato dei consigli fino alla costituzione nel 1972 della Federazione dei lavoratori metalmeccanici.
Iscrittosi al Pci nel 1950, dal 1960 membro del Comitato centrale del Partito, nel 1963 viene eletto deputato (una precisazione ed una curiosità: nonostante quanto riportato da numerose e anche autorevoli biografie, Bruno Trentin non è mai stato consigliere comunale di Roma).
Nel 1988 l’elezione a segretario generale della Cgil, “quella Cgil che conosco bene -dirà nel giugno 1994 alla Conferenza programmatica di Chianciano lasciandone la guida - e di cui lascio la direzione con un sentimento di infinita riconoscenza (…) un sindacato di donne e di uomini che si interroga sempre sulle proprie scelte e anche sui propri errori, che cerca di apprendere dagli altri per trovare tutte le energie che gli consentano di decidere, di agire, ma anche di continuare a rinnovarsi, di dimostrare con i fatti la sua capacità di cambiare e di aprirsi a tutte le esperienze vitali e a tutti i fenomeni di democrazia che covano ora e che covano sempre nel mondo dei lavoratori”.
“Sarei un ipocrita - saluterà Trentin - se negassi che provo in questo momento una profonda emozione, un senso di dolore anche, come accade ogni volta che si interrompe un modo di operare e anche un tipo di vita, mentre si affronta con qualche ansia un futuro che deve essere ancora disegnato (…) Credo di poter dire, se me lo permettete, che provo in questo momento, come militante della Cgil, un sentimento confuso di riconoscenza ma anche di fierezza: di riconoscenza per tutto quello che mi hanno dato questa Organizzazione, le persone che ho potuto conoscere, scoprire, stimare, apprendendo molto da loro; riconoscenza anche per le prove dure che, come molti di voi, ho dovuto affrontare, per gli insegnamenti che ne ho ricevuto e perché mai esse sono state vissute in totale solitudine. Anche in chi dissentiva radicalmente ho potuto sempre scoprire, cogliere rispetto ed affetto di cui li ringrazio (…) Senza averli conosciuti la mia vita sarebbe stata un’altra”.
Una vita passata tra le fabbriche e le scrivanie che abbiamo raccontato attraverso la mostra Bruno Trentin. Dieci anni dopo.
L’esposizione, realizzata in occasione del 10° anniversario della scomparsa - arricchita di nuovi materiali e resa maggiormente fruibile attraverso una nuova veste grafica on line - rappresenta una biografia per documenti e immagini che di fatto narrano il Novecento italiano: la Francia dell’esilio, Padova città universitaria in cui attivare la Resistenza, la Milano partigiana, la Mirafiori dominata dalla Fiat e poi bloccata dagli scioperi.
Dall’infanzia in terra di Francia alle lotte operaie dell’Autunno caldo, dalla Resistenza fino allo scontro col governo Amato nel 1992 sull’abolizione della scala mobile, dall’Ufficio studi della Cgil al Parlamento europeo, si dipana il racconto di sessant’anni di vita italiana - e non solo.