Il governo Meloni si avvicina a una delle sfide più complicate, che rischia di mostrare davvero la sua natura e la reale competenza, oltre la retorica diffusa puntualmente dai membri della maggioranza: la sfida si chiama legge di bilancio

Scadenza 20 settembre

La scadenza per la presentazione della manovra è fissata entro il 20 settembre, data in cui l’esecutivo dovrà rispondere non solo alle nuove direttive di stabilità decise dall'Unione europea, ma anche ovviamente alle aspettative delle cittadine e dei cittadini italiani.

La legge sarà un banco di prova decisivo per verificare la capacità di mantenere le promesse della campagna elettorale, allo stesso tempo rispettando i vincoli economici europei che non si toccano. Alla prova, dunque, c’è l'equilibrio tra politica fiscale e obiettivi di crescita. Con un’ombra che si allunga sulla manovra: quella dell’austerità, un ritorno al passato che non sarebbe in alcun modo tollerabile.

Le misure chiave

Tra le questioni più urgenti che il governo dovrà affrontare, spiccano alcune misure economiche chiave che pesano particolarmente sul bilancio dello Stato. Le ha ricostruite nei giorni scorsi Il Sole 24 Ore, facendo il punto sui provvedimenti allo studi. Gli interventi, che scadranno a dicembre 2024, includono il taglio al cuneo fiscale e la riduzione dell'Irpef: provvedimenti che, combinati, rappresentano un costo significativo di circa 14 miliardi di euro.

Il taglio al cuneo fiscale e la riduzione dell’Irpef, sostiene il governo, sono state misure fondamentali per il sostegno al reddito e la competitività delle imprese. Tuttavia, il loro rinnovo e potenziamento per il 2025 non sarà facile e bisogna trovare le risorse necessarie, che non possono pesare sulle fasce deboli.

Il libro delle promesse

In generale, sono molte le promesse del governo legate alla prossima legge: tra queste c’è la riduzione delle tasse al ceto medio, legata concordato Irpef, il superbonus al 120% per favorire l’occupazione, sul fronte del fringe benefit la spinta al welfare aziendale per far fronte alle spese delle persone.

C’è poi sul tavolo la famigerata carta anti-povertà, dal titolo retorico “Dedicata a te”, ormai da molte parti definita come poco più di elemosina; anche qui occorre capire dove andrà a finire per il 2025. Infine, l’esecutivo ha paventato il taglio del canone Rai annuo per una cifra intorno ai 430 milioni. 

Il nodo delle pensioni

Il tema delle pensioni rappresenta un altro punto di tensione all'interno della maggioranza. Qui le divisioni si fanno palesi: la Lega spinge per un'uscita anticipata dal mondo del lavoro, attraverso una versione più flessibile di Quota 41, che – sempre nelle intenzioni - permetterebbe ai lavoratori di andare in pensione con 41 anni di contributi. La proposta, a quanto si apprende, non è condivisa dalla premier Meloni, che appare più cauta su questo fronte.

L’altra componente di governo, Forza Italia propone un aumento delle pensioni minime, senza specificare quanto e come verrà trovato il finanziamento. Proposte divergenti, quindi, che mettono in luce le difficoltà del governo nel trovare una linea comune su un tema tanto delicato come quello previdenziale.

Esecutivo al bivio

Una cosa è certa: guardando al futuro, il governo Meloni dovrà fare i conti con una serie di decisioni difficili. Da un lato, vi è la necessità di trovare le risorse per prorogare o migliorare le misure a sostegno di lavoratori e famiglie, se sarà in grado di farlo; dall’altro c'è il rischio di dover affrontare tagli o sacrifici per rispettare i vincoli europei. La “sfida” è proprio trovare un equilibrio tra queste istanze, che non può essere lacrime e sangue. Le prossime settimane saranno cruciali per definire il futuro economico del Paese.

Cgil: mai ritorno all’austerità

Da parte sua, la Cgil ha già espresso con forza  la propria opposizione a qualsiasi ritorno all'austerità, manifestando preoccupazioni sulle possibili conseguenze sociali delle scelte di bilancio. Pochi giorni fa, il segretario confederale Christian Ferrari ha ribadito la necessità di trovare risorse attraverso un aumento della tassazione sui redditi più elevati, la tassazione delle rendite finanziarie e una lotta più incisiva contro l’evasione fiscale. 

Se necessario sarà mobilitazione

“Chiediamo la conferma della decontribuzione – ha detto –: le buste paga sono già stata falcidiate dall’inflazione, il rischio è che milioni di lavoratori si trovino con 70-100 euro in meno al mese. Siamo in attesa – infine – di capire come il governo lavorerà alla legge di bilancio: chiediamo di agire con la leva fiscale per la redistribuzione, non è accettabile che la stretta del patto di stabilità sia pagata dai ceti medio bassi”. Se sarà necessario, il sindacato è pronto a mobilitarsi per evitare che le fasce più deboli della popolazione siano colpite da tagli o riduzioni di spesa.