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Il 7 giugno 1984 Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano, dopo un comizio elettorale a Padova nel corso della campagna politica per le Europee viene colto da un malore. Un momento che si protrae, che sembra non avere fine. “Enrico! Enrico! Enrico!”, grida il suo popolo, che però - commosso e attonito - alla fine lo prega di fermarsi: “Basta, Enrico! Enrico, per favore, fermati!”.
“Caduto in battaglia è una brutta espressione retorica, eppure è così - scriverà su l’Unità Luigi Pintor qualche giorno dopo - È tragico, e sembra quasi un ammonimento per noi, che si sia spezzato sotto questa tensione. Fece molto di più di una scelta politica come può essere intesa oggi, si identificò con una causa ideale e ne fece un modo d’essere”.
Diceva il segretario in quello che diventerà a tutti gli effetti un testamento:
Ancora una volta si è dimostrato che non è possibile in Italia salvaguardare le istituzioni democratiche se si escludono i comunisti. E questo non perché esista il cosiddetto potere di veto, di cui va cianciando qualcuno, del Partito Comunista verso i governi e verso i provvedimenti che non gli sono graditi, ma per una ragione più profonda: perché il Partito Comunista ha assunto e difeso una funzione di garante democratico. Chi voglia escludere il Partito Comunista, chi voglia governare contro questo partito, che rappresenta da solo un terzo dell’elettorato ma anche la parte maggiore della popolazione attiva, lavoratrice, impegnata, giovane porta i risultati di dissesto e di caos che in queste ore sono sotto gli occhi di tutti. E questo è il motivo principale per cui noi riteniamo di poter chiedere, con tranquilla coscienza, il voto anche ai militanti ed elettori del Partito Socialista, anche ai cattolici democratici, a una parte grande degli stessi democristiani; a quanti sentono che siamo arrivati a un momento in cui tornano in gioco le questioni essenziali della libertà e della democrazia. I comunisti hanno dimostrato anche negli ultimi mesi di sapersi battere per garantire le libertà e i diritti democratici non solo per se stessi in quanto opposizione ma per tutti, anche per chi non è comunista, anche per chi è avversario dei comunisti!
Vorrei congedarmi da voi, cittadini di Padova, con qualche parola su di voi e sulla vostra città. Negli anni scorsi si è molto parlato di Padova in Italia per le tormentate vicende che essa ha vissuto in conseguenza della concentrazione di forze terroristiche che qui si è formata e per la lotta ampia e tenace contro di esse condotta dalle forze vive della città. In questa lotta decisiva è stata l’alleanza tra i lavoratori e le forze della cultura e dell’Università; decisivo è stato il ruolo che hanno svolto i comunisti padovani. Proprio quella grande lotta democratica contro l’eversione ha rivelato a Padova la presenza di grandi energie, dinamiche, progressiste, sia in campo laico che in campo cattolico. In primo luogo quelle da tradizione universitaria, laica e della libera ricerca, espressione nei secoli di un pensiero che non si piega ai dogmatismi e ai fanatismi. Qui a Padova, nello studio che fu di Galileo e di altri grandi pensatori, vi è una delle radici culturali che da ragione della vigorosa azione svolta dalla intellettualità e dell’Università nell’antifascismo e nella guerra di Liberazione nazionale. I nomi dei comunisti Eugenio Curiel e Concetto Marchesi, insieme a quelli di Silvio Trentin e di Egidio Meneghetti, ne sono emblematica testimonianza. E c’è la Padova dei giovani: nella vostra città ci sono cinquantamila studenti universitari e decine di migliaia di studenti medi che si trovano spesso ad affrontare gravi e pesanti problemi: quelli di servizi, della qualità dello studio, del funzionamento delle strutture scolastiche, della vita culturale e associativa, della liberazione dalla tossicodipendenza: problemi che sono ben lungi dall’essere risolti. E invece, nel mondo giovanile vi sono immense energie e potenzialità; in esso è più che mai viva l’esigenza di prospettive, di cambiamenti, di un futuro per il quale valga la pena di lavorare, di studiare, di lottare.
Le vecchie forze del tradizionale notabilato democristiano non sono più capaci di offrire punti di riferimento, né di suscitare energie, ripiegate come sono su se stesse, in particolare dopo la sconfitta subita nel giugno dell’anno scorso dalla Democrazia Cristiana. Nel mondo cattolico si sviluppano, però, e si esprimono sensitività e iniziative (si pensi al movimento, unico nel suo genere, delle Pastorali del Lavoro o i gruppi che operano per la pace) che si manifestano come popolo autonomo rispetto alla vecchia area democristiana; ebbene, a tutte queste forze della cultura, della scienza, del lavoro, del mondo giovanile, a quelle più vive e aperte della realtà cattolica, i comunisti indicano una prospettiva di pace, in Europa e nel mondo, di risanamento e di trasformazione del nostro Paese, di rinnovamento della politica e dell’organizzazione della società, in una salda garanzia di democrazia e di libertà.
Votando Partito Comunista Italiano si contribuisce a portare in Europa un’Italia diversa da quella a cui l’hanno ridotta i partiti che l’hanno governata finora e che la governano tuttora; si contribuisce a portare in Europa non l’Italia della P2 ma l’Italia pulita, democratica, l’Italia dei lavoratori che hanno detto e dicono no al “Decreto sulla Scala Mobile”, l’Italia della grande manifestazione del 24 marzo a Roma, l’Italia delle forze sane della produzione, della tecnica, della cultura, l’Italia delle donne che vogliono cambiare la società non solo per acquisire una parità di diritti effettiva dell’accesso al lavoro, alle professioni, alle carriere, ma per fare parte della società con le doti generali di cui esse sono le peculiari portatrici dopo secoli di oppressione e di emarginazione.
E ora compagne e compagni, vi invito a impegnarvi tutti, in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali della vita politica. Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo, è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà!
Alla fine del comizio Enrico rientrerà in albergo dove entrerà in coma. Dopo il consulto con un medico viene trasportato all’ospedale Giustinianeo e ricoverato in condizioni drammatiche.
Scriveva nel 2016 sul blog giubberosse di Pietro Spataro Carlo Ricchini:
Per la prima volta - ed ero redattore capo da diversi anni - sentii trasmettere quell’ordine: 'Fermate le rotative!'. Non era in un film, era la sera di giovedì 7 giugno 1984, nella redazione romana de l’Unità. La prima edizione stava 'girando'. si sentiva il rumore e il vibrare delle macchine, quando giunse da Padova la voce di Ugo Baduel, rotta dall’angoscia e gridata nel telefono. 'Berlinguer sta male…mentre parlava sul palco è stato colto da malore… lo portano in ospedale…'. Quando Ugo, l’inviato che seguiva sempre il segretario, telefonò la seconda volta, la redazione era quasi al completo. Il direttore Macaluso aveva fatto richiamare tutti. Ora era seduto dietro la scrivania nel box in fondo allo stanzone, attorniato da tutti noi: bisognava valutare e decidere come dare la notizia, ci furono altre telefonate con Ugo che era riuscito a strappare i primi giudizi dei medici. Emanuele Macaluso, la mano sulla fronte, meditò ancora per minuti che sembravano interminabili, poi chiese ancora a noi qualche consiglio. La prima pagina viene rifatta. Le rotative erano rimaste ferme un’ora a Roma e a Milano. Titoliamo Berlinguer gravissimo, su nove colonne. Da quella sera alcuni di noi non toccarono più il letto, non c’erano soste. Si preparano pagine speciali, edizioni straordinarie. I titoli dei giorni seguenti saranno il giorno dopo, sabato: L’Italia con il fiato sospeso, e domenica parole più drammatiche: Berlinguer condizioni disperate. Sempre a tutta pagina il titolo di lunedì 11 giugno: Ti vogliamo bene Enrico, che interpretava il sentimento di angoscia e di profonda stima che si respirava in tutto il Paese. Ma aveva anche il sapore del messaggio di commiato. Lo stesso giorno, alle 12 e 45, la fine. Con il nodo alla gola si preparò la prima edizione straordinaria, titolo grande, in nero, maiuscolo: È MORTO.