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La notizia è quella dell’arresto cautelare, a Roma, di quarantatré presunti criminali legati a una cosca ‘ndrina, trasferitasi al di fuori della regione di origine; un cosiddetto “locale” che ormai da anni era operativo nella capitale, attivo soprattutto nel business della ristorazione, nel quale reinvestiva ingenti quantità di denaro proveniente da traffici e affari illeciti. I risultasti dell’Operazione Propaggine e l’ordinanza relativa, di circa duemila pagine, non lasciano dubbi.
Anche se la ‘ndrangheta è presente da tempo immemore nella Capitale, come ben descrive nei suoi libri il più autorevole storico della mafia calabrese, il professore Enzo Ciconte, la novità di questa vicenda, come lui stesso afferma, sta nel fatto che in questo caso si tratterebbe di un vero e proprio locale, una “struttura di comando al vertice della ‘ndrangheta”, che per una ragione simbolica, legata ai rituali ‘ndranghetisti, mai decifrata, dovrebbe essere composto da almeno 49 componenti, con a capo un paio di boss di storiche famiglie della mafia calabrese. Il loro “noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”, carpito dalle forze dell’ordine durante le intercettazioni, era il certificato di origine, controllato e garantito, di cui gli appartenenti al clan si fregiavano. Nel caso romano le attività in mano alla ‘ndrangheta, dal 2015, erano soprattutto bar, ristoranti, supermercati e attività di gestione degli olii usati.
Il fatto è emerso a Roma, l’11 maggio del 2022, ma in realtà potrebbe trattarsi di qualsiasi altra città, metropolitana e non, in possesso di alcune caratteristiche che rendono il contesto particolarmente penetrabile: tra queste la presenza di un tessuto economico vivace, momentaneamente penalizzato da un’emergenza o da una crisi economica congiunturale. Una caratteristica estremamente diffusa, soprattutto se pensiamo ad alcuni particolari settori che hanno subito pesanti conseguenze dall’emergenza sanitaria determinata dal Covid-19, come, appunto, quello della ristorazione e della ricezione alberghiera.
Un’emergenza che ha incentivato anche un ulteriore affare criminale in grado di assicurare ingenti quantità di denaro e di potere: l’usura. Un crimine che viene perpetrato non solo, e non tanto, per acquisire risorse economiche, ma per esercitare un forte potere sugli individui che ne sono vittime. Soprattutto se si tratta di imprenditori in difficoltà ai quali, non di rado, la mafia riesce a sottrarre intere aziende applicando al “prestito” illegale erogato tassi di interesse altissimi che rendono quasi impossibile onorare il debito.
Tutte attività illecite svolte con assoluta accortezza, in modo silenzioso, senza dare nell’occhio. Un’assenza di rumore che non deve lasciarci indifferenti per le drammatiche conseguenze che l’infiltrazione mafiosa causa nei territori, a partire dalla concorrenza sleale che il denaro riciclato da altri affari illeciti esercita, soprattutto a discapito delle aziende “sane” dei territori, quelle che operano nel rispetto delle regole; e quindi anche ai danni delle lavoratrici e dei lavoratori che in esse operano.
E come nella vicenda romana, quando le mafie si fanno impresa attraverso l’acquisizione illecita di aziende, con una gestione che può essere più o meno diretta, le conseguenze sulle lavoratrici e sui lavoratori non sono affatto marginali: dove “dirigono le mafie” spesso si annida anche lavoro nero e sfruttamento e la qualità del lavoro è scarsa. I diritti sindacali, a partire dal diritto a essere rappresentati e tutelati, non possono essere esercitati.
Ci sarebbe poi il tema della provenienza e della qualità dei prodotti utilizzati nelle attività gestite dalla mafia, di cui spesso, inconsapevolmente, siamo clienti. E il problema dei danni alla salute pubblica causati dal business legato al traffico illecito dei rifiuti. Saranno gli inquirenti dell’indagine “Propaggine” a stabilire se, per esempio, l’attività di ritiro e gestione degli olii esausti avveniva regolarmente. Se così non fosse, rientrerebbe nelle logiche consolidate delle mafie, abituate a smaltire i rifiuti in modo irregolare e dannoso per la salute dell’ambiente e delle persone, per trarne il maggior profitto possibile.
Tendiamo troppo spesso a vivere l’emersione dell’infiltrazione mafiosa nei territori come un evento che ci riguarda solo marginalmente, che incrocia le nostre vite ma che al massimo può sfociare in un regolamento di conti tra boss mafiosi. Non è così, situazioni come quella emersa a Roma ci chiamano tutti in causa e ci impongono una partecipazione attiva nel contrasto alle mafie, anche come organizzazione sindacale.